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    TB Transit Message
    TB CONVERSATION 2: DANIELE MAFFEIS
    [=== TB === CONVERSATION === 2 ==== DANIELE == MAFFEIS =]

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    The Blank Conversation | Meeting Daniele Maffeis | 4 – 6 Ottobre 2014
    a cura di Claudia Santeroni

    Secondo artista a partecipare al progetto The Blank Conversation, dopo il primo appuntamento con Giulia Cenci, Daniele Maffeis, giovane artista bergamasco di stanza a Milano, ha trascorso la sua mini-residenza affrontando la realtà culturale della sua città da un nuovo punto di vista: immerso nella vita dell’associazione.

    Daniele Maffeis
    Nato nel 1982, Bergamo
    Vive e lavora a Milano

    SELECTED EXHIBITIONS

    2015
    I COSTRUTTRI DEL VETRO #2. SPARKLING LIKE PYRAMIDS, a cura di Kunstverein Milano e Alessandra Pioselli

    2013
    · OGNI COSA A SUO TEMPO CAP.VI, ATTO II, curata da BACO arte contemporanea, Bergamo.
    · CORSO APERTO, mostra degli studenti del CSAV, Corso Superiore di Arti Visive, Fondazione Ratti, Como.

    2012
    · EFFETTO VENTURI, Eva Marisaldi, curato da Peep-Hole, Spazio Oberdan, Milano.
    · ACADEMY AWARDS, Fuori dalla gabbia di Faraday, mostra dell’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, Viafarini DOCVA, Fabbrica del Vapore, Milano.
    · EVOLUTION DE L’ART, curata da Kunstverein (Milano) e valerio del Baglivo, Frigoriferi Milanesi, Milano.
    · MANDATO A MEMORIA, mostra del workshop di Rossella Biscotti, organizzato da Accademia Carrara di Bergamo e ISREC, sala dell’ex Ateneo Nuovo, Bergamo.
    · LA STORIA SECONDO ME, concorso indetto da Istituto Luce.

    2011
    · NORESE / PICCIONI E FANTINI / MAFFEIS, collettiva, Casabianca, Bologna.
    · 100di50, Kunstverein (Milano) presenta Agitazione Personale, nell’ambito di 100di50 collettiva curata da Giacinto Di Pietrantonio e Marco Scotini, NABA, Milano.

    TB Conversation 1: Giulia Cenci
    [=== TB === Conversation ==== 1 ===== Giulia == Cenci ==]

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    The Blank Conversation | Meeting Giulia Cenci | 1 – 4 Aprile 2014
    a cura di Claudia Santeroni

    Prima artista a partecipare al progetto Conversation, Giulia Cenci ha speso i suoi giorni di Residenza ospite di The Blank Residency conoscendo la realtà culturale bergamasca: appuntamenti con curatori, visite alle gallerie e alle istituzioni della città, studio visit.

     

    Giulia Cenci

    Nata nel 1988, Cortona
    Vive e lavora a Den Bosch, NL

    SELECTED SOLO EXHIBITIONS

    2014
    Mai, Tile Project Space, Milano, IT
    La terra bassa, SpazioA, Pistoia, IT

    2013
    Present future, Artissima, Torino IT
    Default, curated by Antonio Grulli, Gaff, Milano IT
    Halfground, SpazioA project space, Pistoia IT

    2011
    Tutto quello che non riesco a dirti, project curated by Lelio Aiello, Y’art Project, Bologna IT

    The Blank Board | Intervista a Domenico Pievani
    [=== The == Blank ==== Board ===== Intervista == a ===== Domenico == Pievani =]



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    photo @ Maria Zanchi

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    In occasione di ARTDATE 2014,

    Domenico Pievani aprirà il suo studio

    Sabato 17 maggio, dalle 09.00 alle 11.00

    Via San Lorenzo 22, Bergamo

    THE BLANK BOARD

    Un progetto a cura di Elsa Barbieri e Maria Zanchi.

    Intervista di Elsa Barbieri

    Foto di Maria Zanchi

     

    Domenico, in occasione di ArtDate 2014 presenterà un catalogo. Mi anticipa qualcosa di più?

    Il catalogo “Le regard se fait lieu/ Lo sguardo si fa luogo” nasce come testimonianza di quattro mostre  realizzate in spazi pubblici in Belgio negli ultimi tre anni. Ci tengo molto a presentarlo qui a Bergamo perché è stato realizzato con la partecipazione di più realtà culturali importanti e attive nella città. Questi  lavori hanno rappresentato per me l’occasione di riflettere sul concetto di installazione. Purtroppo è sempre più difficile capire quando  il concetto di installazione assuma il significato generico che indica tutto e niente e quando invece assume un senso che si lega a una trasformazione dell’idea dell’arte nel concetto di forma, della storia dell’arte, della scultura… ma anche alla trasformazione del rapporto con lo spazio, nel concetto di forma… Solo in questi casi “installare” assume un senso, che per essere colto richiede di fare un passo indietro nel tempo, cercando di mantenere un minimo di contatto con quelli che sono gli “antenati”. Già il lavoro di Kurt Schwitters era un’installazione, così come  lo studio di Brancusi . Quindi abbiamo tutta una serie di indicatori che ci possono riportare a un senso vero di quello che può essere il concetto di installare.

    Non trova che oggi “installazione” sia un termine usato con molta, forse troppa facilità?

    Sì, oggi è un termine abusato. Tutto è un’installazione, installiamo qualsiasi cosa… sembra che installare si risolva semplicemente nel mettere delle cose in uno spazio.   Al contrario penso che la dimensione dell’installare  sia significativa solo quando diventa un atto fondante. Fondare un luogo significa dare un carattere allo spazio. Allora lo spazio non è più una categoria indefinita e non è nemmeno una categoria spaziale in senso geometrico ma assume una valenza più pregnante e un carattere poetico.

    È in questa direzione che spinge il suo lavoro?

    Sì. Ho iniziato sempre più a legare al concetto di installazione  il concetto di composizione e  del disporre nell’accordare. L’installare per me diventa il disporre, l’attenzione cambia completamente perché mi trovo così, inevitabilmente, nella condizione di non poter essere slegato dallo spazio in cui agisco e con cui la relazione è immediata. Non posso avere un’azione, una riflessione o un’opera che si avviluppano su sé stesse ma devo lavorare in una dimensione aperta. Se noi consideriamo l’installare in questa dinamica allora l’installazione diventa interessante e credo abbia grandi possibilità dal punto di vista del linguaggio artistico e del suo sviluppo. Percorrendo questa direzione poi si fa strada il concetto di installarsi dell’opera. L’installarsi dell’opera all’interno dello spazio significa prima di tutto che bisogna avere coscienza del fatto che lo spazio è lo spazio esistenziale dell’opera stessa. L’installarsi dell’opera dunque può diventare un fondare un luogo.

    Penso a  Passaggi attorno e attraverso (per uno sguardo libero) , per esempio. Ha fondato un luogo?

    Sì. Era il 2012 ed ero stato invitato a partecipare a un festival, Les Voies de la Liberté, che si teneva presso il Centre culturel d’Ottignies-Louvain-la-Neuve. Passaggi attorno e attraverso  era un’installazione site-specific, con una serie di porte che poteva essere letta in due modi. Dall’esterno appariva come un unicum strutturato, però anche come un percorso che potesse essere attraversato dai visitatori. Avevo pensato a questo lavoro come a una dimensione in cui si aveva continuamente la possibilità di passare da una situazione all’altra. Nel percorso c’erano dei segni che diventavano limiti e marcavano una qualità attiva del movimento e della percezione, ma anche dei diversi modi di essere all’interno dello spazio.

    Per definizione il limite è qualcosa che chiude, per lei invece sembra non essere così. Sbaglio?

    Niente affatto. Sia all’interno del mio lavoro che del mio modo di pensare, io assumo il concetto di limite come qualcosa di assolutamente positivo e dinamico. Nella mia pratica artistica il limite serve, molto spesso, a marcare un momento di transizione da uno stato di cose a un altro o da uno spazio all’altro, da un sopra a un sotto, da un esterno a un interno… È un elemento da intendersi attivamente e positivamente che segna un passaggio all’interno di uno spazio da percorrere.

    Uno spazio che lei, artista, rappresenta? O che, nel suo caso, ripresenta?

    La differenza tra rappresentazione e ripresentazione, nel mio lavoro, è fondamentale. Non sono interessato a rappresentare qualcosa, ma a ripresentare qualcosa. Ripresentare è molto diverso, è un modo per essere all’interno del processo e lasciare che il processo continui anche nella dimensione della trasformazione. Penso che sia una possibilità, all’interno del linguaggio dell’arte, che ha portato tantissima ricchezza. Non che nella rappresentazione non ci sia qualcosa di interessante anzi, c’è comunque una ricchezza così come ad esempio una riflessione sulla realtà. Solo che è una riflessione di altro tipo, che si articola nella dimensione del distacco, completamente diversa da quella del coinvolgimento, della vita, in cui si inscrive ciò che si ripresenta. Sono attento a cogliere le differenze e credo che questa sia una delle più affascinanti, aiuta a capire il mio lavoro. All’interno della dimensione delle cose dunque se  prendo una pietra e la metto in uno spazio la sto ripresentando: la decontestualizzo, la inscrivo all’interno di un nuovo contesto- c’è dunque anche una dimensione linguistica che entra in gioco- e così la ripresento, rimettendo in gioco il principio di realtà.

    Che rapporto instaura con gli spazi in cui lavora?

    Entro in contatto con lo spazio a cui mi approccio prima guardandolo, per scorgere le qualità che ha già di per sé,  poi concentrandomi sulla sua percezione. Oppure, nel caso di spazi che dispongono di un genius loci che li rende luoghi, cerco di dialogare con questi aspetti caratterizzanti. Sia che le opere siano realizzate in situ, sia che nascano in studio per prendere vita nel momento dell’installazione, quello che per me conta è che il lavoro si nutra dello spazio, del luogo… e che vibri con esso.

    Cosa fonda uno spazio?

    Naturalmente l’opera. Gli spazi possono disporsi e contenere opere, anche di differenti misure, possono diventare cavità teatrali in cui accade qualcosa, ma è l’opera a fondarli. O meglio, a rifondarli, qualificandoli come luoghi della poiesis, luoghi in cui avviene un’azione. E quell’azione non è altro che l’opera d’arte, che segna, fonda e caratterizza uno spazio accadendo al suo interno. Questo è uno degli aspetti che maggiormente mi interessa e che attraversa tanto il mio lavoro quanto le mie riflessioni.

    Come nasce questo interesse?

    Questo interesse è nato all’interno di una riflessione che riguarda anche la storia dell’arte. Mi sono formato negli anni ’70 e ho vissuto in prima persona il momento dell’uscita dal quadro, un aspetto che mi ha interessato e che tutt’ora mi interessa come possibilità. Negli stessi anni anche nel campo della scultura stava succedendo qualcosa, si procedeva verso quella frantumazione della forma che esaltava la scultura come costellazione. Ecco, io mi muovo tra la possibilità di uscire dal quadro, uno spazio delimitato e chiuso da una cornice, e la possibilità di andare oltre il concetto di forma, riuscendo così a concepire lo spazio come dimensione aperta da inscrivere in un processo di continua trasformazione.

    C’è un motore che muove questo processo di trasformazione?

    Sì, la relazione delle cose che, per me, si riconduce al concetto di composizione. Se c’è una cosa che mi ha sempre seguito, non solo come interesse, ma anche come caratteristica del mio lavoro, è proprio il formarsi dell’opera all’interno di questo concetto. Naturalmente la relazione tra le cose è un aspetto fondante nel regno della composizione. Da questo punto di vista anche lo spazio è un elemento importantissimo, che può essere usato in modi diversi.

    A quali modi si riferisce?

    Beh, possiamo avere uno spazio come contenitore, dunque lo spazio come cavità teatrale, oppure uno spazio che si trova tra una cosa e l’altra, che potremmo considerare come un intervallo di sospensione. Quest’ultimo, verso il quale va la mia attenzione, non è uno spazio che divide, frantuma, allontana o, addirittura, costringe alla percezione di due o più individualità in una dimensione separata. Per me, al contrario, lo spazio come intervallo crea infinite possibilità di relazione.

    Come è possibile?

    È possibile perché questo spazio diventa un vuoto di possibilità estremamente ricco… permette infatti che si instaurino delle relazioni in cui le cose possono mantenere la propria identità pur concorrendo alla composizione di un unicum che le contiene. Naturalmente, per il mio lavoro, il concetto di vuoto è importante al pari di tanti altri… il vuoto permette il coinvolgimento, la contaminazione, ma anche l’essere e lo stare in uno spazio.

    Essere in uno spazio chiama in causa una presenza corporea. Un altro elemento che segna la sua pratica artistica.

    È vero. Nella mia formazione rientra un’avventura legata alla ricerca nel campo delle arti performative- ho lavorato, come studente, a due progetti di ricerca diretti da Jerzy Grotowski- che si lega, nell’ambito delle arti visive, alle opere che faccio e agli elementi che uso.

    Che elementi usa?

    Gli elementi che uso nel lavoro hanno una relazione molto stretta con l’essere umano. Letti costruiti in ferro per esempio, oppure molto spesso sedie. Non li utilizzo solo per un valore estetico, ma per il rapporto con il corpo, dal punto di vista della misura e dell’azione. Oltre al fatto che la dimensione di un letto o di una sedia è commisurata al corpo umano, entrambi questi oggetti presuppongono un modo di stare nello spazio, l’uno orizzontale e l’altra intermedio. Di riflesso questi aspetti chiamano in causa il movimento, un altro elemento fondamentale che si ritrova in tante mie opere. Senza il movimento sarebbe impossibile cogliere la relazione tra il corpo e lo spazio. Una relazione che recupera le radici corporee, ancora prima di essere pensiero o immagine, e che, proprio in quanto tale, mi permette di toccare alcuni elementi che riguardano l’universale, a prescindere dalla lettura che ne facciamo noi.

    Che cosa intende per radici corporee?

    Intendo esattamente come siamo fatti. Come ci insegna la cultura cinese, noi abbiamo in realtà quattro modi di stare nello spazio: stare sdraiati, sul piano orizzontale, stare  seduti, per terra o su una sedia, che è la condizione intermedia, stare in piedi, sul piano verticale. E poi c’è un quarto modo di stare nello spazio che è quello che ci appartiene: quello di essere in movimento. Tutti questi modi sono gli elementi basilari attorno ai quali lavoro. Quindi anche quando assumo degli oggetti lo faccio scegliendo appositamente quelli che stanno all’interno di queste possibilità. Con una particolare attenzione al movimento, che è la condizione indispensabile per la percezione di tanti miei lavori.

    C’è qualcosa d’altro che lega il suo lavoro a questi oggetti?

    Sì, c’è un altro aspetto molto importante ed è il concetto di azione. I pochi oggetti che uso, sono spesso  legati a precise azioni dell’uomo all’interno di uno spazio. La cosa che faccio è quella di cogliere e fissare in una sospensione questi oggetti. Ma non all’interno dell’azione, bensì quando l’azione è già avvenuta o è in procinto di avvenire. E qui dunque torniamo a quella situazione per cui il mio lavoro funziona sempre in rapporto a due stati di cose, due spazi o due aspetti che prevedono un passaggio. Il dinamismo, il dualismo… sono condizioni che ricerco negli oggetti che uso.

    Un oggetto che ricorre, come anche lei ha detto, è la sedia. Che significato ha per lei la sedia?

    La sedia è un oggetto che mi interessa moltissimo. Innanzitutto mi incuriosisce come dimensione di passaggio dalla posizione verticale a quella orizzontale, quindi come modalità di essere nello spazio. E poi mi affascina per il rapporto con le radici corporee. La sedia infatti è un corpo dal punto di vista architettonico, ma è anche il corpo, il nostro corpo. Nella storia dell’arte, nel teatro, nella danza, se presti attenzione, vedi spesso una sedia. Questo perché la sedia è protesi ma allo stesso tempo corpo.

    Lei fa un uso particolare delle sedie. Sbaglio?

    È vero, io le appendo. Quando appendo una sedia appendo un corpo. Per me appendere ha un senso molto particolare. Significa anche sospendere e quindi ritorna quella condizione di dualità che ricerco e perseguo con il mio lavoro. Naturalmente è una questione di emozioni… la cosa curiosa è che per me la sedia è un elemento che permette di toccare tante sfumature a livello espressivo ed emozionale. La sedia può essere qualcosa di divertente, di gioioso, di ridicolo, oppure di Drammatico. E poi l’altro elemento importante, che si ritrova in molti miei lavori realizzati con delle sedie, è il concetto di presenza e assenza.

    Me ne parli Domenico, sembra interessante e significativo.

    La sedia sta sul filo sottile che separa presenza e assenza. Una sedia può evocare una presenza tramite un’assenza e, viceversa, un’assenza tramite una presenza. Quando vediamo una sedia vuota in uno spazio per esempio.. possiamo pensare a un’assenza perché la sedia è vuota ma è solo attraverso la sua presenza che cogliamo l’assenza stessa.

    Il dualismo è costante. Come definisci gli aspetti che entrano in questa reazione duale?

    Non sicuramente opposti, credo sia un termine culturalmente abitudinario. L’opposto è qualcosa di molto strano, soprattutto per come lo gestiamo all’interno della comunicazione. Pensiamo sempre agli opposti come qualcosa che si contrappone. Invece, all’interno del mio lavoro, non è questa contrapposizione ciò che mi interessa. Mi incuriosiscono di più gli opposti all’interno di una dimensione circolare, che li contiene.

    Tesi, antitesi, sintesi

    Mi hai scoperto… (ride). Nel mio lavoro cerco di mantenere sempre questo tipo di tensione. Ovviamente nella consapevolezza che si tratta di una tensione impostata sulla curiosità, sulle domande, non su risposte certe.

    Oggi però il pubblico sembra ricercare più risposte certe e spiegazioni piuttosto che esperire.

    Purtroppo è vero, forse perché ci siamo disabituati a guardare. Crediamo di guardare, ma in realtà l’oggetto del nostro sguardo non è altro che l’immagine precostituita della cosa che guardiamo. Non riusciamo più a cogliere le cose nella loro essenza, nel loro essere in un dato tempo e in un dato spazio. Oggi non si cerca più di guardare in modo consapevole l’opera che sta davanti a noi,  ma si vuole sapere immediatamente cosa voglia dire. Io però credo che sia l’opera a dover parlare per prima e non chi l’ha fatta, o chi ne fa la lettura critica. Non nego che sia possibile e anche interessante disquisire attorno alle opere, però non è possibile farlo ancora prima di averne fatto esperienza. Quando un artista costruisce un’opera ha qualcosa da dire… a quel qualcosa bisogna avvicinarsi attraverso lo sguardo, l’osservazione e l’ascolto.. altrimenti si perde una dimensione dell’esperienza, si perde la relazione con il lavoro artistico.

    Come si pone il tuo lavoro rispetto a queste tue riflessioni?

    Io non penso affatto all’opera d’arte come qualcosa di puramente istintuale anzi, sono convinto che ci sia sempre un pensiero che proceda di pari passo con il lavoro. Credo però che siano sempre le opere, in relazione alle differenti pratiche di lettura, a provocare le riflessioni. Ed è così che deve essere per non correre il rischio di avere delle opere che altro non sono se non semplici messa in forma di idee. Le idee ci sono, ci devono essere e possono anche funzionare come motore primo. Nello stesso tempo però un’opera d’arte, è un processo per cui non ci si può limitare all’idea. Un processo in cui si può penetrare tramite le idee, ma che poi deve evolvere dialetticamente, deve trasformarsi. La trasformazione non può mancare… del resto noi stessi siamo sempre coinvolti all’interno di un processo di trasformazione. Averne coscienza è fondamentale.

    Interessante

    Si, solo così l’arte diventa un’avventura… altrimenti è una noia mortale (ride).

     

     

    ARTDATE 2014 DIALOGO NEL TEMPO | 15.5.14 - 18.5.14
    [= ARTDATE ==== 2014 == DIALOGO == NEL ==== TEMPO ==== 15.5.14 ===== 18.5.14 ==]

    ­­­­­Giunta alla sua IV edizione, ArtDate si conferma un’occasione unica per scoprire la città di Bergamo e il suo territorio attraverso l’arte contemporanea.
    The Blank dedica ArtDate 2014 – Dialogo nel tempo al rapporto tra arte contemporanea e arte antica, come omaggio alla riapertura dell’Accademia Carrara di Bergamo.
    Due le novità per questa edizione di ArtDate 2014: Open Factory, visite guidate presso realtà aziendali bergamasche che si dedicano all’arte e alla cultura, e Once Upon a Time, itinerari alla scoperta dei luoghi storici simbolo dell’arte lombarda nella città di Bergamo e dintorni. Per ArtDate 2014, The Blank ha infatti voluto intensificare l’interazione con il territorio attraverso iniziative che testimoniano la locale attenzione verso il mondo dell’arte con un fitto programma di inaugurazioni, performance e workshop aperti al pubblico.

    PROJECT PROPOSAL RESIDENCY | II EDIZIONE
    [= PROJECT == PROPOSAL === RESIDENCY ===== II === EDIZIONE ==]
        [== LINK ==]
    Melancholia, Christian Fogarolli, 2012

    Melancholia, Christian Fogarolli, 2012

    Jan Kaesbach

    Jan Kaesbach

    THE BLANK RESIDENCY | II EDITION PROJECT PROPOSAL RESIDENCY

    Project Proposal Residency è un progetto di residenza d’artista,  pensato come luogo di incontro e di lavoro dove condividere idee ed  esperienze, che si rivolge ad artisti italiani e internazionali  impegnati nelle arti visive, nella fotografia, nel film e nei video,  nella media art, nella performing art e nella musica. Lo scopo primario è di offrire ospitalità e occasioni di relazioni volte allo sviluppo delle loro personali ricerche artistiche, pratiche e  teoriche. Il programma di residenza prevede che due artisti, selezionati tra le richieste ricevute, condividano per un mese l’alloggio, messo a  disposizione da The Blank. Agli artisti è stato chiesto di lavorare ad  una proposta di progetto o di idea da sviluppare  durante il periodo di  residenza e di condividerla con The Blank. Dal 08 aprile al 18 maggio The Blank Residency ospita Christian Fogarolli (Trento, 1983) e Jan Keasbach.

    www.theblankresidency.it

    CHRISTIAN FOGAROLLI / STATEMENT E BIOGRAFIA

    Christian Fogarolli nasce a Trento nel 1983. Consegue nel 2010 il Master immagine: studio, diagnostica e restauro su dipinti antichi, moderni e contemporanei presso l’università di Verona e si laurea anno successivo in Gestione e Conservazione dei Beni Culturali. estero. Nel 2012 è stato selezionato per dOCUMENTA(13) con la presentazione esclusiva del progetto di ricerca Lost identities mostrato nel padiglione The Worldly House e nel 2013 rappresenta la sezione contemporanea in La Magnifica Ossessione presso il Museo Mart di Rovereto. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private tra le quali la AGI Collection veronese e la fondazione Benetton.

    Il percorso e il lavoro di Christian Fogarolli si caratterizzano da un marcato interesse verso sistemi identitari singoli e collettivi indagati attraverso diverse prospettive e tramite una frequente ricerca d’archivio. I lavori analizzano dinamiche sulla percezione dell’immagine e dell’oggetto in rapporto alla soggettività, sondano i legami con l’anormalità e la devianza e pongono interrogativi sul patrimonio di immagini che disponiamo e sull’uso a cui lo destiniamo.

    JAN KAESBACH / STATEMENT E BIOGRAFIA

    Jan Keasbach vive e lavora a Francoforte. Ha completato gli studi alla Raskin University di Oxford distinguendosi come miglior studente del suo anno. Nel corso della sua carriera universitaria ha avuto mostre, tra le altre, all’University Club di Oxford, The Other Art Fair, Londra, alla MOLT Gallery, St Anne College. E’ stato assistente degli artisti Justin Coombes e Tom Hunter. Al termine degli studi ha vinto il premio Kevin Slingsby ed è stato selezionato per il Patform Graduate Scheme. Nel Luglio 2013 ha partecipato al programma di residenza d’artista della Deutsche Börse Residency al Frankfurter Kunstverein, Germania Nel Decembre 2013 è finalista per la borsa di studio della città di Francoforte.

    Il suo lavoro fotografico parte dalla tradizione documentaristica ma è anche ispirato dalla storia dell’arte e della fotografia. L’unione e la collisione di diversi stati, ambiti o mondi sono temi ricorrenti in serie come ‘Assindia project’,‘People of the 21st century’ o come e per la riconosciuta serie ‘Picture for…’.

    A PRANZO CON GLI ARTISTI | GIULIA CENCI, IAN KAESBACH, CHRISTIAN FOGAROLLI
    [= Giulia Cenci = Ian Kaesbach = Christian Fogarolli == 18.05.2014 =]
    18.05.14

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        [== LINK ==]

    The Blank Kitchen. A pranzo con gli artisti Giulia Cenci, Ian Kaesbach e Christian Fogarolli

    Domenica 18 Maggio 2014, ore 13.00
    The Blank, via G. Quarenghi, 50 – Bergamo

    The Blank Board | Intervista a Marco Grimaldi
    [=== The === Blank ==== Board ==== Intervista ===== a === Marco === Grimaldi ==]



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    In occasione di ARTDATE 2014,

    Marco Grimaldi aprirà il suo studio

    Domenica 18 Maggio 2014, dalle 15.00 alle 17.00

    Via Cervino 2, Seriate

    THE BLANK BOARD

    Un progetto a cura di Elsa Barbieri e Maria Zanchi.

    Intervista di Elsa Barbieri

    Foto di Maria Zanchi

     

    Marco, quando hai deciso di diventare un pittore?

    Ho sempre saputo di volerlo fare. Ho frequentato il liceo artistico a Bergamo ma in quegli anni non avevo grandi interessi. Dopo la maturità ho deciso di allontanarmi, di spostarmi e mi sono iscritto all’Accademia di Brera. Lì, dove non mi conosceva nessuno ho iniziato a studiare e lavorare da pazzi. Mi dicevano tutti che avrei dovuto fare il pittore. Alla fine l’ho fatto, era quello che mi piaceva. Probabilmente se non avessi fatto il pittore avrei fatto un lavoro completamente diverso. Quando ho scelto l’accademia il mio unico interesse era la pittura.

    Che pittore sei?

    Sono un pittore che per formazione non ha una linea precisa, mi piace molto spaziare sulle cose. Essendomi formato negli anni ’80 non poteva che essere così. Ho iniziato l’accademia nel 1985, negli anni dell’eclettismo, della contaminazione, della deriva culturale. Queste tendenze le ho vissute, le ho sentite… e i pittori che maggiormente mi hanno influenzato hanno queste caratteristiche. Sono quegli artisti che puoi trovare nelle esposizioni figurative ma anche in quelle astratte. Non riesci a classificarli eppure hanno una continuità interiore che li rende riconoscibili tra mille. Non mi sento affatto un loro successore, per me rappresentano un punto di partenza da cui poi ho preso la mia strada.

    Che cosa mi dici di questa strada?

    Quando mi chiedono di scrivere dei miei lavori io dico sempre che l’importante per me è riuscire a unire i punti cardinali del quadro. Che cosa significa?… Non penso di certo all’unione geografica dei punti, alludo piuttosto a riuscire, con dei segni o dei colori, a unire il tutto, a dare tensione a tutti i lati: solo così il quadro prende vita e diventa anima pulsante.

    Cosa rappresenta per te il quadro?

    Per me un quadro è un quadro. Non è che non mi piaccia la pittura figurativa però ormai di fronte a qualsiasi cosa la preoccupazione maggiore è che cosa sia, che cosa rappresenti. Per me invece non è così. Di fronte a un quadro la prima cosa che si fa notare è la sua struttura architettonica, che ha già la sua valenza. La sua forma, il suo spessore sono già di per sé elementi che devono far riflettere. Il rapporto che un lavoro dovrebbe avere con lo spazio circostante determina già il fatto che quello che mi interessa è l’insieme che dà forza all’architettura del quadro. Partendo da questa struttura cerco di dare vita a uno spazio tracciando delle righe, è una delle sfide che mi smuovono maggiormente.

    Rischi, accetti le sfide.

    Si. Non ho alcun problema a dipingere e disegnare, sono trent’anni ormai che lo faccio. Cerco sempre di farlo con la testa libera però. Perché il bello del dipingere è trovarsi alla fine di un lavoro e poter esclamare “però, niente male!”. Se stai troppo attento rischi di non iniziare nemmeno. È importante lasciarsi andare, partire, con la testa che ormai ha sedimentato e la mano capace di muoversi da sola. La mancanza di riposte sicure, il dubbio continuo di fronte al lavoro, è sicuramente la sfida più bella nella pittura. Non solo per il pubblico ma anche e soprattutto per l’artista.. per me. Alla fine dei miei lavori io sono sempre molto deluso, poi però quando li riguardo, a mente fredda, mi accorgo se può funzionare.

    Come nascono i tuoi lavori?

    Non sono un pittore espressionista che ha bisogno dell’urgenza dell’ispirazione anzi, per me ogni momento ha la sua urgenza. È fondamentale per me capire dove voglio dirigermi. Finché non lo so non lavoro, poi quando capisco il problema porto avanti la mia analisi con molta regolarità e senza pianificare l’esito a priori. L’importante per me è essere consapevole della struttura che voglio ottenere.

    Parli di problemi, di analisi, di metodo. Di quali strumenti ti servi?

    Il disegno innanzitutto… e poi la luce e la sua modulazione. È con il disegno e con la luce che io costruisco. Del resto, sono un pittore che lavora sulla luce. Nei miei lavori più vecchi la luce era data da un passaggio, da un segno espressivo molto forte, che graffiava.

    Dimmi di più di questo segno.

    Il segno.. il disegno… è un aspetto molto importante per me. In passato per arrivare all’essenza del problema non riuscivo a restare fermo senza fare nulla in attesa di qualche ispirazione. Così ho iniziato a fare disegni. Avvertivo il bisogno di scaricare la mia energia ma di dovermi riscaldare per poterlo fare. Ogni giorno venivo in studio e facevo dieci, venti, di questi disegni fino a quando non mi sentivo calato nel problema. Era un vero e proprio esercizio di movimento e di sensazione. Quando poi mi sentivo carico andavo davanti alle grandi tele e davo dei colpi. Dopodiché mi fermavo e me ne andavo… tornavo il giorno dopo e riprendevo il mio esercizio.

    Che ne è di questi disegni?

    Tutti questi disegni sono studi che poi diventano quadri. Sono confluiti anche in un’installazione, Scale, che avevo montato per una mia mostra personale, Habitat, a Seriate. L’idea mi era venuta un giorno, quando ho deciso di montarli su muro dopo un periodo in cui li lasciavo sparsi per terra sul pavimento del mio studio. Tutt’oggi li conservo, sono almeno 150, e ancora oggi quando faccio degli studi li conservo insieme agli altri, come un mio diario di disegno. Costituiscono una parte di me intima, personale e significativa, che si riflette in un work in progress senza fine.

    Mi hai parlato dell’esercizio del disegno al passato. Perché, che cosa è cambiato?

    Ad un certo punto c’è stata la svolta e ho cercato di costruire minimizzando il gesto. Quando ho iniziato la serie di Habitat ho cercato di eliminare il disegno che solcava la tela, ho indebolito il passaggio della mano per rendere all’osservatore la percezione di un lavoro che prende vita da solo. Per farlo sfrutto le potenzialità della luce, grazie alle quali mi è possibile costruire e modulare la struttura del quadro.

    E adesso? Cosa fai? Come lavori?

    Ho un libro in cui continuo ad annotare tutti i miei appunti, gli studi, i particolari di luce, a volte anche insignificanti. Li faccio e li metto via, poi torno a osservarli, anche a più riprese, ed è allora che entrano nella rielaborazione delle mie tele. Partire dal disegno fa sempre parte del mio gioco. Anche se adesso mi accorgo di disegnare sul lavoro stesso, realizzando direttamente sulla tela quello che ricerco. Se prima mi era necessario un esercizio per rintracciare l’essenza di un segno, oggi preferisco scavare sul momento, modificarlo.

    Inevitabilmente cambia la lavorazione.

    Esattamente. I quadri frutto dell’esercizio preparatorio si caratterizzano per essere stati eseguiti molto velocemente. Mi esercitavo a ritmo serrato su un particolare aspetto e poi, quando trovavo la soluzione, intervenivo sulla tela con colpi veloci e decisi. I lavori di adesso invece mi richiedono molto più tempo in termini di lavorazione mentale, di attesa, di analisi e di ricerca. La difficoltà maggiore consiste nel non rendere mai banale una composizione che in realtà nasce da elementi banali… righe, scacchiere…

    18 metri di Habitat, per esempio. Me ne vuoi parlare?

    È un lavoro elementare, non è altro che alternanza di positivo e negativo. Ho voluto tenerlo il più elementare possibile proprio per poter lavorare sul concetto. La sfida è lavorare sull’elementare, non cercare l’impensabile. Realizzarlo è stato come tessere una tela, ogni giorno tracciavo quattro, cinque righe. Poi smettevo e il giorno seguente ricominciavo rielaborandole o con nuove righe.

    È un quadro di grandi dimensioni, come la maggior parte dei tuoi lavori. Perché?

    È vero, sono tre moduli da sei metri ciascuno. È il lavoro che chiude la serie Habitat e benché la dimensione renda difficile l’esposizione, per me è un lavoro inseparabile. È nato come un trittico, separarlo significherebbe interrompere il dialogo. Per me una tela da 2×1.60 metri è una misura standard, come potrebbe essere per altri un foglio da 50×70 cm… Capisci quindi che lavorare con le grandi dimensioni fa parte di me, l’ho sempre fatto. Forse per un fatto di cultura e di formazione. Quando ero giovane e andavo a vedere le mostre vedevo solo quadri enormi. Il presupposto da cui sono partito dunque è che il quadro dovesse essere enorme. Ma non è vero… Semplicemente la dimensione grande mi fa sentire molto più libero. Le tele piccole, che amo perché rappresentano una conquista tecnica per me, mi creano ansia. Richiedono un lavoro di cesellatura e di concentrazione, devo capire lo spazio, prendere le misure, modulare il movimento della mano… tutte operazioni che mi rendono difficile lavorare in piccolo.

    A cosa stai lavorando adesso?

    Ho ultimato da poco un lavoro a cui mi sono dedicato per tutto l’inverno appena trascorso. È un lavoro completamente nuovo. L’ispirazione mi è venuta in un bar, dove ho visto un poster di New York pieno di luci che sembravano brillantini. Allora l’ho fotografato e poi in studio l’ho rielaborato. Come nei miei lavori precedenti il gioco è sempre lo stesso, provare a dare la percezione di una parete di un palazzo illuminato con le lampadine che rompono la scacchiera. Non a caso il modulo di partenza sembra proprio farsi di tanti occhielli di luce che muovono la composizione. Da studente, mi ricordo, ogni volta che passavo davanti alla Torre Velasca di Milano mi sentivo perso di fronte alla totale mancanza di ordine nella disposizione delle finestre. Provavo a dargli un mio ritmo ma non la verità è che non esisteva, dunque era invisibile e inimmaginabile. Quando lavoro mi torna in mente spesso questo aneddoto.

    Come mai? Che rapporto c’è con il tuo lavoro?

    Io lavoro soprattutto con la luce. Mi piace studiarne le infinite possibili variazioni per poi sfruttarle e modulare nuovi spazi. Anche se può affiorare un riferimento legato a un’immagine, come accade nell’ultimo lavoro, ciò che più mi interessa sono le potenzialità della luce e le variazioni di colore, non la formella o lo spiritello. Spesso mi si chiede cosa rappresenti il segno dei miei quadri ma per me rappresenta esattamente quello che si vede, cioè la composizione di una forma che si muove nello spazio. Questa è una cosa che sta dentro di me, mi piace guardare un corpo qualsiasi che si muove nella penombra, che viene avanti. Ti guardo mentre riposi, per esempio, è un lavoro molto grande che ha questa caratteristica. Non sono affatto due persone dormienti, sono invece due movimenti di testa che io sento nel momento del sonno di un corpo, di una mente, di qualsiasi cosa.

    Torniamo al tuo ultimo lavoro. Raccontami qualcosa di più.

    Nasce dalle lastre di una risonanza magnetica a un ginocchio. Le ho lasciate attaccate al vetro per molto tempo perché mi sembravano cose banali. Il rischio era copiarle e fare anatomia, cosa che a me non interessava. Non ero attratto dalla lastra in sé e non volevo semplicemente fare una copia della cosa. Avevo piuttosto bisogno che si trasformasse in altro, volevo una composizione serrata. Per sperimentare la variazione ho fatto molto uso della luce e del colore. Sembrano molto black ma, ci tengo a specificarlo, io ho usato variazioni di nero, non il nero. Solo così sono riuscito a ottenere delle modulazioni dello spazio che rendono il lavoro diverso sia dal punto di vista di chi guarda che da quello di chi lo fa. Nel primo lavoro per esempio ho usato un nero pece sporcato di viola, nell’ultimo ho ripassato il nero con il colore blu. È una questione di pura grammatica pittorica, si tratta di usare colori che conducono in uno spazio oscuro, come il nero ma più morbido, da cui sono riuscito a far emergere la luce. Anche perché ho iniziato a rielaborare il modulo per gioco, senza conoscere l’esito, tracciando righe, cancellandole, muovendole, nel tentativo di mostrare la ripetizione variabile della cosa.

    Che cosa intendi per ripetizione variabile?

    La ripetizione fa parte della mia pratica artistica. Un gesto, un segno, per me possono essere continuamente ripetuti. Ma questi non saranno mai identici, saranno sempre diversi. Dal punto di vista del fare artistico io dipingo sempre con la stessa tecnica e lo stesso approccio concettuale. Anche dietro a questo lavoro c’è lo stesso concetto che sottende ad Armadi, Habitat e Scale. Si tratta della ripetizione di un modulo che si trasforma continuamente perdendo la sua identità. Sono molto attratto dalle lastre proprio per il loro carattere di composizioni di immagini che si ripetono all’infinito impedendoci di toccarle e di scoprirle perché non si danno mai pienamente.

    Ne parli come se fossero creature viventi, appena nate. Che rapporto hai con le tue opere?

    È vero. Mi calo così tanto nei miei lavori che ho con loro un legame molto forte, tanto da non riuscire ad analizzarli se non c’è abbastanza distacco.

    Di che distacco parli?

    Credo sia una delle poche libertà che ci vengono concesse come uomini e nel mio caso anche come artista. È proprio un mio metodo di lavoro… quello che mi interessa lo elaboro spostandomi di poco nell’analisi del problema. Quando metto a fuoco l’aspetto enigmatico mi fermo e lascio sedimentare… a volte per poco tempo, altre più a lungo. Poi riprendo in mano le opere e queste si trasformano in cose altre. Del resto anche io mi trasformo, non sono mai la stessa persona dell’attimo precedente. Di conseguenza si modificano le forme nello spazio rendendo possibile la costruzione, o la scoperta, di nuovi dialoghi.

    Mi sembra che ci sia molto dialogo nelle tue opere. Sbaglio?

    No, non sbagli. Cerco sempre di creare un dialogo tra quello che faccio. Svegliami per esempio nasce con l’intenzione di creare un dialogo sul colore nero con il nero. È un dittico, è legato al tema autobiografico del doppio e al tema del dialogo. Da una parte c’è la mia visione, più organica e mossa, dall’altra invece una versione più severa. Io provo a farle dialogare, ad avvicinarle e poi allontanarle, e poi ancora a ritentare un contatto. Anche se credo che non si uniranno mai… O forse chissà, un giorno ce la farò. E allora quel giorno smetterò di dipingere (ride).

     

    The Blank Board | Intervista a Virgilio Fidanza
    [=== The == Blank ==== Board ==== Intervista = a ===== Virgilio ==== Fidanza =]



        [== LINK ==]

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    In occasione di ARTDATE 2014,

    Virgilio Fidanza aprirà il suo studio

    Domenica 18 maggio 2014 dalle 10.00 alle 12.00

    Via Spiazzi 6, Albino

    THE BLANK BOARD

    Un progetto a cura di Elsa Barbieri e Maria Zanchi.

    Intervista di Elsa Barbieri

    Foto di Maria Zanchi

    La creatività sta nello sguardo incantato di ognuno.

    Virgilio Fidanza

     Virgilio, sei un fotografo di professione. Cosa deve avere una fotografia per catturare lo sguardo?

     La fotografia per me è una questione semantica. Non pratico la fotografia documentativa, la fotografia che mi interessa ha piuttosto una capacità evocativa. Come la poesia. Trovo il linguaggio poetico estremamente libero,  non come il linguaggio quotidiano dove si è costretti a dire nelle forme prestabilite proprie del linguaggio.

    Che cosa evocano le tue fotografie?

    Una fotografia è tale se evoca, diversamente non funziona universalmente. E in quanto tale non deve mai mostrare qualcosa per quel che è. Il bicchiere, ma non quel bicchiere, altrimenti restiamo nella nostra, importante, ma ristretta sfera affettiva. Deve piuttosto evocare quella cosa tramite una sostituzione simbolica che esca dalla sfera personale dell’autore per invadere l’universale. Il mio ultimo lavoro, +corpiriuniti, per esempio, realizzato nell’ex complesso dell’Ospedale Riuniti di Bergamo, si articola in diverse sezioni, o meglio corpi. Uno di questi è dedicato alle sedie su cui innumerevoli persone hanno atteso. Chiunque le guardi proietta in esse una quantità infinita di immagini. Immagini che non possiamo cogliere nell’immagine, ma che vengono evocate in noi.

    Evocano la memoria? Una memoria condivisa?

    Assolutamente no. La fotografia non funziona come impronta della forma, o meglio non è assolutamente riducibile solo a quell’aspetto.  Evoca il vissuto, rimanda al vissuto. E il vissuto stimola la vita, non la memoria. Quella vita che modifica continuamente i nostri ricordi.

    Cosa è dunque una fotografia, se non un’impronta della forma?

    Per me la fotografia è un medium che fissa un particolare selezionato che restituisce, costruendola, una porzione di realtà. Reale (come trovato) o finto (come costruito) che sia il quel particolare. Perseguendo la neutralizzazione del mezzo, che è condizione per giungere all’universale, in gioco restano sempre forma e impronta. Cambia solo la relazione. Per me una fotografia funziona solo se è forma dell’impronta. Di ogni soggetto mentre esiste solo un’impronta possono esistere molte forme di quell’impronta. Il problema è capire quale di queste noi scegliamo o costruiamo. Le sale d’attesa di cui parlavo poco fa per esempio. Io entro in relazione con lo spazio, vale a dire porto là il mio corpo, e mentre scelgo come rappresentare le sedie, penso contemporaneamente al loro significato/valore simbolico. Così, nell’apparente neutralità dell’immagine, ogni fruitore potrà avviare un’indagine sul vissuto umano: “quante persone si sono sedute?”, “con che stato d’animo?”, “con quali gesti?”.

    Hai accennato alla finzione, l’hai evocata. Che cosa intendi?

    La fotografia funziona solo nel reale, e la finzione è anch’essa reale, come il teatro. L’importante è che rimandi alla realtà, al vissuto. Una maschera per esempio può avere valenza positiva se è usata per gioco, una valenza negativa se invece è usata per inganno, in entrambi i casi non è l’impronta della maschera che muta ma l’uso che ne facciamo. Allo stesso modo funziona il linguaggio poetico o letterario nei confronti della maschera-linguaggio. E altrettanto può fare la fotografia. Non contano gli attribuiti che convenzionalmente le si danno, positivo e negativo, vero o finto, tutto dipende dalla funzione che le attribuiamo.

    Per questo hai scelto di utilizzare in alcuni tuoi lavori, “mezzo- corpo-immagine” esposto alla Wave Photogallery, per esempio, le fotografie mosse?

    Le fotografie mosse non nascono da una scelta estetica. Alle fotografie esteticamente belle ho sempre preferito quelle capaci di rappresentare il vissuto con le sue emozioni. Le fotografie scattate in movimento, nel viaggio in auto, sono quelle più vicine a noi, che guardiamo sempre più il mondo mentre siamo in movimento, perché il nostro corpo è in perenne movimento.

    Parlami di questo progetto

    È una serie di cinquanta immagini, realizzate tra il 2003 e il 2013,  iniziata nei miei spostamenti tra Bergamo e Brescia per raggiungere l’Accademia. In gioco ci sono tre corpi: quello tecnologico, la fotografia/automobile,  il corpo e l’immagine. Quando viaggiamo, liberi di muoverci ma sempre all’interno di un percorso prestabilito, cambia la dimensione spazio-temporale. E di conseguenza cambia il nostro corpo e con esso anche lo sguardo,  perché riceve nuovi stimoli, un modo diverso di rapportarci al mondo.

    Che cosa intendi per ‘percorso prestabilito’?

    Penso alle strade. Le rete stradali sono libere, ognuno sceglie quale strada percorrere. Ma dopo averla scelta è obbligato a seguirne il tracciato imposto.

    Cosa fai per evitare i percorsi già decisi?

    Sono cresciuto con la convinzione di dovermi impegnare a livello sociale, è tipico della mia generazione. Eppure la mia indole solitaria è uscita allo scoperto. Mi sono ritagliato il mio spazio, all’interno della natura, dove posso vivere con i ritmi del ciclo naturale e godermi tutto ciò che esiste. È fondamentale mettersi e rimettersi sempre in gioco.

    È questo che insegni ai tuoi studenti?

    Si. È importante che sappiano mettersi in gioco. Perché lo apprendano chiedo loro un esercizio tosto, che tutti dovremmo fare. Chiedo loro di autoritrarsi, così sono costretti a chiedersi chi sono senza l’aiuto della tecnica, la “medicina” che tutti usiamo per rispondere al sistema.

    Che cosa è per te la tecnica?

    È uno strumento fine a se stesso che deresponsabilizza. Lo scorso anno ho tenuto un corso in Cina, al Politecnico di Beilun, e là mi sono reso conto di come ormai l’uomo confonda le immagini tecnologiche con il mondo. Il titolo del corso era “Dall’albero mitologico all’immagine tecnologica”. È stato un percorso che mi ha permesso di portare alla luce il ruolo dell’immagine tecnologica nella contemporaneità. L’immagine tecnologica nasce come strumento capace di rendere comprensibili i testi e mantiene un legame con le immagini tradizionali, quindi anche con il loro carattere magico, perché circolare, come il ciclo naturale. Seppure la sua impronta non dipenda dall’abilità dell’uomo ma è generata da un medium tecnologico, l’uomo si aggrappa ad essa per restare in contatto con il mondo magico. Così facendo però nell’uomo cresce la convinzione errata che dal momento in cui è in grado di produrre immagini (lui o l’apparato tecnologico?) poi sia anche capace di decifrarle.

    Che rapporto esiste tra fotografia e tecnica?

    La fotografia non è tecnica, non è riducibile al solo fatto tecnico, io mi considero un “animale non tecnico”. Il perché è molto semplice: la fotografia dovrebbe avere una finalità espressiva rivolta all’uomo, non a se stessa come la tecnica. Oggi tutto ruota intorno alla tecnica, la politica per decidere guarda all’economia, che a sua volta guarda alla tecnica, e la tecnica è priva di finalità. Vivere, guardare e pensare non possono e non potranno mai essere soppiantati dalla tecnica. È una questione vitale. Nello stile di vita sta il mio atteggiamento verso il mondo. Uno stile autentico perché praticato. Poi c’è uno stile mercantile. Ma non me ne curo perché prescindere da me stesso per obbedire alle logiche del mercato mi è impossibile. Quanto meno nella fotografia d’autore. Ecco perché preferisco muovermi ai margini, verso il profano.

    Che cosa intendi per profano?

    Intendo dire che il mio percorso creativo è decentrato rispetto alla sacralità consacrata dal mercato. Vedo i giovani e mi accorgo delle loro difficoltà a pensare. Non perché non ne siano capaci, ma perché rispondono al sistema. Non va bene. Bisogna profanare questo percorso, spostarsi, andare oltre, per restituire la creatività. Quella vera, quella che sta nella periferia dell’impero e nello sguardo incantato di ognuno di noi.

    Abbiamo tutti questo sguardo incantato?

    Assolutamente si. È solo che  non lo sfruttiamo. Le immagini, le troppe immagini, agiscono su di noi come schermi che ci impediscono di vedere il mondo. Me ne sono accorto in Cina ma è così ovunque. Ormai ci muoviamo in funzione delle immagini, l’atteggiamento è da posa fotografica. L’immagine attesta la nostra identità. Sbagliato! L’immagine può evocarla, non rappresentarla. Altrimenti nessuno più si mette in gioco, rischia e azzarda.

    Tu hai rischiato?

    Si. ci provo, a mettermi costantemente in gioco. Ogni giorno in questo spazio che mi sono ricavato nella natura. Di fronte a me ho il mio unico riferimento: il ciclo vitale. Se non ci si mette in gioco, l’esistenza rimane un’occasione perduta. E le mie fotografie nascono e vivono di questi stimoli.

     

    A CENA CON L'ARTISTA | SALVATORE ARANCIO
    [= Salvatore == Arancio = 26.03.2014 =]
    26.03.14

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        [== LINK ==]

    The Blank Kitchen. A cena con l’artista Salvatore Arancio

    Mercoledì 26 Marzo 2014, ore 20.00
    The Blank, via G. Quarenghi, 50 – Bergamo

    A CENA CON IL REGISTA | VALENTIN HOTEA
    [= Valentin == Hotea = 09.03.2014 =]
    09.03.14

    1982298_658418844205868_588232441_n



        [== LINK ==]

    The Blank Kitchen. A cena con il regista Valentin Hotea

    In collaborazione con Bergamo Film Meeting

    Domenica 9 Marzo 2014, ore 20.30
    The Blank, via G. Quarenghi, 50 – Bergamo

    ARTDATE 2023 - ARTIFICIO
    [== ARTDATE == 2023 === ARTIFICIO =]

    L’immagine coordinata di ArtDate 2023, disegnata da Studio TEMP, è generata tramite l’intelligenza artificiale.

    ArtDate
    Festival di arte contemporanea
    ARTIFICIO | 13° edizione
    Bergamo, Brescia

    10, 11, 12 novembre online
    16, 17, 18, 19 novembre Bergamo
    24, 25, 26 novembre Brescia

    [== CS ArtDate 2023 ==]

    [== programma ArtDate 2023 ==]

    [= press kit ArtDate 2023 =]



        [== LINK ==]

    In occasione di Bergamo e Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, l’associazione culturale THE BLANK in collaborazione con Palazzo Monti sceglie di strutturare un percorso condiviso che sia manifestazione plastica della volontà di collaborazione delle due città.

    Palazzo Monti e The Blank strutturano quindi insieme la 13° edizione di ArtDate, festival di arte e cultura contemporanea organizzato a Bergamo e Brescia, nel quale vengono coinvolte le principali istituzioni culturali pubbliche e private dei due capoluoghi, oltre che artisti, gallerie, collezionisti, dimore storiche e scuole.

    ArtDate 2023, il cui titolo è ARTIFICIO, è un grande evento culturale, unico ed inedito, espressione fattuale della mission della capitale della Cultura, ovvero crescere insieme. Tra gli eventi principali: l’installazione INFINITO PRESENTE di Yayoi Kusama presso Palazzo della Ragione a Bergamo; la mostra a Palazzo Monti a Brescia; il momento del GALLERIES TIME dedicato alle inaugurazioni delle mostre nelle gallerie; l’apertura di una pluralità di studi d’artista e collezioni private generalmente inaccessibili al pubblico.
    ArtDate si apre con un ciclo di appuntamenti online la cui fruizione è resa possibile al pubblico sordo grazie ad un apposito servizio di sottotitolatura e traduzione in LIS – Lingua dei Segni Italiana.

    Gli highlights:

    • opening della mostra Yayoi Kusama. Infinito Presente presso Palazzo della Ragione, Bergamo
    • opening della mostra Ghostwriting Paul Thek. Time Capsules and Reliquariespersonale di Alessandro Di Pietro presso Palazzo Monti, Brescia
    • interviste online a Domenico De Masi (sociologo); Umberta Gnutti Beretta e Francesca Milani (collezioniste); Gian Antonio Gilli (sociologo); Diana Anselmo (performer ed attivista); Massimo Minini (gallerista) e Cristina Fogazzi (fondatrice di Vera Lab, @estetistacinica, e collezionista); Arturo Galansino (Direttore Palazzo Strozzi)
    • performance di Effe MinelliThese Butterflies Came Back from Hell to See You
    • proiezioni dei video di Marianna Simnett e Christian Marclay
    • GALLERIES TIME con l’apertura delle gallerie e spazi espositivi tra Bergamo e Brescia
    • apertura straordinaria al pubblico di collezioni private e studi d’artista tra Bergamo e Brescia
    • sonorizzazione dal vivo di tre film di Maya Deren, in collaborazione con Bergamo Film Meeting

     

    [== VENERDì 10 ==]

    [== SABATO 11 ==]

    [== DOMENICA 12 ==]

     

    [== GIOVEDì 16 ==]

    [== VENERDì 17 ==]

    [== SABATO 18 ==]

    [== DOMENICA 19 ==]

     

    [== VENERDì 24 ==]

    [== SABATO 25 ==]

    [== DOMENICA 26 ==]

    Premio Matteo Olivero 44a EDIZIONE
    PREMIO MATTEO OLIVERO
    Premio Matteo Olivero 44a EDIZIONE
        [== LINK ==]

    È Marinella Senatore la vincitrice del 44° Premio Matteo Olivero.

    Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977) è un’artista multidisciplinare, con una formazione in musica, belle arti e cinema. La sua pratica è caratterizzata da una forte dimensione collettiva, partecipativa e sociale.

    L’artista presenta la sua opera “Dance First/Think Later” che andrà a rendere unico il foyer del Cinema Teatro Magda Olivero.

    La giuria di questa edizione è composta da Sara Fumagalli, Matteo Ghidoni, Roberto Giordana, Tiziana Buccico e Arturo Demaria.

    ARTDATE 2022 - CORPO LIBERO
    [== ARTDATE ==== 2022 ===== CORPO ==== LIBERO ==]

    ArtDate
    Festival di arte contemporanea
    12° edizione
    CORPO LIBERO
    10 11 12 13 novembre
    Bergamo

    [== CS ArtDate 2022 ==]

    [== programma ArtDate 2022 ==]

    [= press kit ArtDate 2022 =]



        [== LINK ==]

    “Dopo gli dei, le rivoluzioni e i mercati finanziari, il corpo diventa il criterio di verità. Solo il corpo dura, solo il corpo permane. Riponiamo in lui tutte le nostre speranze e da esso ci aspettiamo una realtà che altrimenti ci sfugge. Il corpo è diventato il centro di tutti i poteri, l’oggetto di tutte le nostre aspettative, e persino quelle di salvezza. Noi siamo questi esseri strani, questi sconosciuti, gli uomini del corpo.”
    Hervé Juvin “Il trionfo del corpo”

    CORPO LIBERO è il tema affrontato durante ArtDate, il Festival di arte contemporanea che si svolge a Bergamo dal 10 al 13 novembre.
    Si tratta di un’ampia riflessione su cosa significhi, ammesso sia oggi possibile o lo sia mai stato, avere un corpo libero.
    La ritrovata prossimità dopo gli anni della pandemia e del distanziamento sociale, lo spettro della guerra in Europa, ma anche un’analisi di quanto ossessiva sia divenuta l’attenzione attorno al corpo: un corpo-prodotto, che vive molto di più ma dura molto meno, un corpo-politico, l’idea della bellezza come forma di identità, un corpo-schiavo dei dettami della moda per essere guardato e desiderato, un corpo costruito, trasfigurato, un corpo-esposto, un corpo-immagine.
    Un corpo che si confronta con il progressivo venir meno dell’idea dell’immortalità, declinando la salvezza in salute avvalendosi di ritualità contemporanee quali diete, esercizi fisici, digiuni intermittenti, trattamenti di bellezza.
    Questi sono i temi che vengono sollevati negli eventi della XII edizione di ArtDate, attraverso percorsi espositivi, talk, performance, letture, proiezioni.

    [== SABATO 16 ==]

    [== DOMENICA 17 ==]

    [== LUNEDì 18 ==]

    [== MARTEDì 19 ==]

    ARTDATE 2021 - Nel Tempo Sospeso - 11.11.21 - 14.11.21
    [=== ARTDATE === 2021 ==== Nel === Tempo === Sospeso ==== 11.11.21 ==== 14.11.21 =]

    ARTDATE
    Festival di Arte Contemporanea
    XI edizione
    NEL TEMPO SOSPESO
    11 12 13 14 novembre Bergamo

    Quello del TEMPO SOSPESO è il tema affrontato nella XI edizione del Festival di Arte Contemporanea ArtDate che si svolge a Bergamo dall’11 al 14 novembre.
    Si tratta di un’ampia riflessione sull’indeterminatezza e apprensione che sta caratterizzando questo indimenticabile periodo di cui tutti noi siamo protagonisti e testimoni, fase storica anche però densa di aspettative e desideri.

    Giovedì 11, venerdì 12, sabato 13 e domenica 14 novembre, Bergamo ospita l’undicesima edizione di ArtDate, Festival di Arte Contemporanea organizzato da The Blank.
    Diventato nel corso del tempo un punto di riferimento capace di avvicinare e promuovere l’arte contemporanea presso un pubblico ampio e diversificato, in questa edizione ArtDate presenta numerose novità̀ di rilievo, focalizzando l’attenzione sulla tematica del tempo sospeso, rinverdendo l’attenzione alle tematiche di accessibilità e partecipazione.

    TB BENEFIT 2020 - JONATHAN MONK
    [= TB === BENEFIT ===== 2020 ==== JONATHAN === MONK ===]

    Ph Paolo Biava

    Per vedere tutte le opere della serie clicca [= qui =]



        [== LINK ==]

    THE BLANK 10° ANNIVERSARIO

    JONATHAN MONK
    BENEFIT A SOSTEGNO DELLE ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE

    Per festeggiare nel migliore dei modi il traguardo dei primi 10 anni di attività, The Blank ha avuto il piacere di collaborare con l’artista britannico Jonathan Monk che ha realizzato in esclusiva per l’associazione una nuova serie di lavori il cui ricavato sosterrà la produzione di nuove mostre e progetti.
    Le opere prendono il titolo ironico Shelf Life, espressione inglese che indica il periodo di tempo durante il quale una merce può essere immagazzinata senza diventare inadatta all’uso, al consumo o alla vendita.

    Allo stesso tempo l’opera si presenta come una libreria della vita, dove il gesso simula le coste dei libri che ci accompagnano nel tempo.
    La serie è stata realizzata per la mostra The Gift. On Life and Death che il 13 Novembre 2020 inaugurerà a Bergamo in occasione del Festival di Arte Contemporanea ArtDate.

    A Jonathan Monk (Leicester, 1969. Vive e lavora a Berlino) sono state dedicate mostre personali presso alcune delle più prestigiose istituzioni internazionali, tra cui Palais de Tokyo (Parigi, Francia), Irish Museum of Modern Art (Dublino, Irlanda), Kunsthaus Baselland (Muttenz, Svizzera).
    Il suo lavoro è stato incluso in numerose kermesse, tra cui la Biennale del Whitney (2006), la 50a e 53a Biennale di Venezia (2003, 2009), la Biennale di Berlino (2001) e la Biennale di Taipei (2000).
    Nel 2012 gli è stato assegnato il Prix du Quartier Des Bains, a Ginevra.

    JONATHAN MONK
    Shelf Life, 2020
    gesso su tela serie di 36 pezzi unici
    24 x 30 cm

    800 €/cad
    * L’ importo viene versato a titolo di contributo ed erogazione liberale a sostegno delle varie attività culturali promosse dall’Associazione “THE BLANK” ed è deducibile ai sensi del combinato disposto degli articoli 100 comma 2 lettera h) D.P.R. 917/1986 e art. 14 c. 1 D.L. 35/2005 – Oneri di utilità sociale

    per info e prenotazioni: associazione@theblank.it

    IL DONO | Matilde Cassani e Andrea Romano
    [= IL === DONO ===== Matilde === Cassani == e === Andrea === Romano ===]


    From me to .give, Andrea Romano


    La Bocca della verità, Matilde Cassani



        [== LINK ==]

    Matilde Cassani e Andrea Romano sono i vincitori del programma di residenza Il Dono, dedicato a 2 artisti residenti in Italia e realizzato con il sostegno di Fondazione Cariplo.

    Il progetto prevede un mese di residenza presso gli spazi di The Blank, nell’area di Via Giacomo Quarenghi di Bergamo, finalizzato alla produzione di un’opera inedita sulla tematica del dono da presentare alla mostra Il Dono. Sulla vita e la morte, a cura di Stefano Raimondi, presso Palazzo della Ragione, Bergamo. La mostra, che vede la partecipazione di Alberto Garutti, Jonathan Monk, Namsal Siedlecki e Félix González-Torres, inaugurerà la X edizione del Festival Artdate, organizzato da The Blank (dal 12 al 15 novembre 2020). 

    La giuria, composta da Camilla Mozzato, Stefano Raimondi e Cristina Rota, ha deciso di premiare all’unanimità i progetti di Matilde Cassani (1980) e Andrea Romano (1984) , che saranno realizzato durante il periodo di residenza presso The Blank Residency rispettivamente nei mesi di settembre e ottobre 2020. 

    Liberamente ispirata alla storica bocca della verità il progetto “La Bocca della verità” di Matilde Cassani ha saputo interpretare lo spazio espositivo in maniera dinamica e partecipativa, abbinando la tematica del dono a quella del caso, della fortuna e della verità. L’opera consiste in una grande maschera metallica che libera nell’aria dei piccoli doni: dei fazzoletti di stoffa preziosa e ricamata con effigi e simboli che, una volta sparati fuori dalla sua bocca, volteggeranno nell’aria fino a posarsi a terra. Il pubblico potrà portare a casa il dono che verrà emesso dalla bocca della verità in momenti non
    annunciati. I ricami dei doni saranno parole di buon auspicio: simboli e riferimenti a cavallo tra superstizione, fortuna e verità.

    Il progetto di Andrea Romano è stato premiato per la sua capacità di interpretare la tematica del dono nel pieno spirito di condivisione e collaborazione, configurandosi al contempo come dono verso il pubblico e a sostegno a un ulteriore progetto artistico. Andrea Romano realizzerà un lavoro attraverso uno scambio con l’artista Massimo Grimaldi (Taranto 1974). Il progetto prevede l’impiego di una parte del budget di produzione a sostegno di “.give”, un’app ideata da Massimo Grimaldi partendo dalla premessa che una comunità, per definirsi tale, deve essere necessariamente solidale. In cambio Andrea Romano avrà accesso al materiale grafico e testuale dell’app, che elaborerà sotto forma di ritagli. Una versione digitale delle opere prodotte saranno scaricabili gratuitamente dalla landing page di .give, mentre gli originali costituiranno la mostra presso Palazzo della Ragione. Infine sarà realizzata una grossa quantità di stampe che il pubblico potrà prendere e portare con sé. La pratica artistica si configura così come l’incontro tra la sfera personale e soggettiva e la sfera collettiva fatta di valori condivisi.

    Si ringraziano Andrea Balatti e Lucia Colombo.

    Bio:

    Matilde Cassani moves on the border between architecture, installation and exhibition design. Her practice reflects the spatial implications of cultural pluralism in the contemporary Western context. Her works have been showcased in many cultural institutions, galleries and published in several magazines such as Architectural Review, Domus, Abitare, Arqa, Arkitecktur, MONU magazine on Urbanism.
    She has been a resident fellow at “Akademie Schloss Solitude” in Stuttgart and at the “Headlands Center for the Arts” in San Francisco. Storefront for Art and Architecture in New York hosted her exhibition “Sacred Spaces in Profane Buildings” in September 2011. She moreover designed the National Pavilion of The Kingdom of Bahrain at the XIII Venice Architecture Biennale in 2012 and she took part of the XIV Venice Architecture Biennale (Monditalia) with the piece “Countryside worship”, recently acquired by the Victoria and Albert Museum in London.

    Andrea Romano (1984) vive e lavora a Milano. Andrea Romano è considerato tra gli artisti più interessanti della sua generazione. Diplomato all’Accademia di Brera di Milano, ha preso parte, tra le altre, nel 2016 alla 16° Quadriennale di Roma, all’esposizione The Picture Club presso l’Accademia Americana di Roma e alla mostra Ennesima a cura di Vincenzo De Bellis alla Triennale di Milano, alla collettiva Sous les Paves, la Plage nel 2012 della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, nel 2015 un solo show alla galleria Gaudel de Stampa di Parigi e nel 2011 alla Gasconade di Milano.

    TB BENEFIT 2019 - GIUSEPPE STAMPONE
    [= TB === BENEFIT = 2019 ======= GIUSEPPE ==== STAMPONE =]
        [== LINK ==]

    S A L E

    Dove tutto sembra essere in vendita, c’è il rischio di perdere ciò che conta davvero.

    Venerdì 13 dicembre 2019 ha avuto luogo un evento speciale organizzato in collaborazione con The Blank dall’agenzia di comunicazione bergamasca specializzata in branding: Quid – Value to communication, sponsor della mostra Il Corpo Insensato (2019-2020, Palazzo della Ragione, a cura di Stefano Raimondi), con gli ospiti Andrea Mastrovito e Giuseppe Stampone in dialogo con Stefano Raimondi, direttore di The Blank, e Lorenzo Sommariva, titolare di Quid, sul connubio arte-comunicazione, ponendosi come interrogativo principale la domanda “cosa unisce arte e branding?”. Giuseppe Stampone ha presentato inoltre l’inedita collezione Sale, un lavoro volto a ricordare come l’arte sia spesso confinata in una funzione decorativa, a scapito della sua potenza espressiva e critica.

    Andrea Mastrovito e Giuseppe Stampone sono due artisti accumunati dalla capacità di realizzare immagini ed opere che appaiono di semplice decodificazione ma che sottendono, invece, una pluralità di letture possibili, grande raffinatezza e abbondanza di riferimenti artistici e non solo.

    TB BENEFIT 2018 - ANDREA MASTROVITO, VINCENZO SIMONE
    [== TB ==== BENEFIT === 2018 ==== ANDREA ==== MASTROVITO ==== VINCENZO == SIMONE =]

    Studio per la predica degli uccelli, Andrea Mastrovito



        [== LINK ==]

    In occasione della 15a edizione di BAF – Bergamo Arte Fiera, Andrea Mastrovito (Bergamo, Italia – 1978) e Vincenzo Simone (Seraing, Belgio – 1980), hanno proposto una serie di opere come parte delle attività di benefit a sostegno della programmazione di The Blank.

    ARTDATE 2020 IL DONO/THE GIFT | 12.11.2020 - 15.11.2020
    [=== ARTDATE === 2020 ==== IL === DONO == THE ===== GIFT === 12.11.2020 ==== 15.11.2020 ==]

    ARTDATE | ON-LINE
    Festival di arte contemporanea X edizione
    IL DONO | THE GIFT

    Il Dono | The Gift è il tema affrontato nella X edizione del Festival di arte contemporanea ArtDate svoltosi a Bergamo dal 12 al 15 novembre.
    Come reazione rispetto al difficile momento storico che stiamo vivendo, The Blank ha scelto di convertire il Festival in forma digitale anzichè annullarlo, dando così un segnale di resistenza del mondo della cultura.

    Di seguito i link per vedere e rivedere tutti gli appuntamenti del Festival:

    CONFERENZA INAUGURALE con MASSIMO FINI
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    Massimo Fini, giornalista e scrittore, affronta il tema del “Dono” attraverso una lettura di Denaro, sterco del demonio, saggio sulle orme di Marcel Mauss, in conversazione con Claudia Santeroni.

    MOSTRA IL DONO. SULLA VITA E LA MORTE
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    Link audio-videoguide in Italian and Italian Sign Language (LIS)
    In attesa di poter visitare la mostra dal vivo, il curatore Stefano Raimondi ci conduce alla scoperta delle opere di Matilde Cassani, Alberto Garutti, Felix Gonzalez-Torres, Andrea Mastrovito, Jonathan Monk, Andrea Romano, Namsal Siedlecki.

    TALK con ED ATKINS e DAVID KAMP
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    Ed Atkins (artista e curatore), David Kamp (compositore e sound designer) e Stefano Raimondi (presidente di The Blank) si confrontano sul progetto espositivo The Act Of Seeing With One’s Own Eye, che rende omaggio alla produzione del padre del cinema sperimentale Stan Brakhage e alla ricerca di David Kamp.

    GALLERIES TIME
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    Le gallerie e gli spazi espositivi di Bergamo e provincia presentano i loro progetti attraverso brevi video.

    TALK INFERNI. PAROLE E IMMAGINI DI UN’UMANITÀ AL CONFINE
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    Giuliano Zanchi presenta il libro di Giovanna Brambilla in conversazione con l’autrice.

    TALK METAFOTOGRAFIA (2). LE MUTAZIONI DELLE IMMAGINI
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    Presentazione del libro con Sara Benaglia, Mauro Zanchi, Corrado Benigni, Teresa Giannico, Alessandro Sambini.

    TALK ARTE, SEGNI, PERFORMANCE. RIFLESSIONI SULLA COMUNICAZIONE VISIVA
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    a cura di The Blank LISten Project
    Rita Mazza 
    (direttrice artistica del Festival del Silenzio e performer segnante), Nicola Della Maggiora (artista di Visual Vernacular), Claudia Santeroni e Maria Marzia Minelli (curatrici impegnate in una ricerca sulla pratica della performance) introducono una riflessione sulla Lingua dei Segni e sul suo rapporto con le pratiche performative, teatrali e di Visual Vernacular.

    Le opere di Matilde Cassani e Andrea Romano sono state realizzate per la mostra Il Dono durante la residenza a The Blank, resa possibile grazie al contributo di Fondazione Cariplo.
    Il Festival è frutto di un’intesa culturale con il Comune di Bergamo volta alla promozione e alla valorizzazione di Bergamo come città d’arte e cultura.

    ArtDate è supportato da Regione Lombardia e riconosciuto dalla piattaforma EFFE – Europe for Festivals, Festivals for Europe per la sua qualità artistica, il coinvolgimento della comunità locale e al contempo il respiro europeo.

    AUDIO-VIDEOGUIDE ACCESSIBILI
    AUDIO-VIDEOGUIDE ACCESSIBILI

    In occasione delle mostre organizzate da The Blank, LISten Project propone audio-videoguide accessibili a persone sorde, segnanti e non, e udenti. Ogni video contiene una spiegazione delle opere in Lingua dei Segni Italiana (LIS) accompagnata da sottotitoli e voce narrante. 

    Le audio-videoguide sono realizzate nell’ottica inclusiva del Design for All, consentendo così la fruizione ai differenti pubblici. Tra le proposte elaborate rientrano anche audio-videoguide pensate per i bambini.

    Sempre nell’ottica di rendere la proposta culturale di The Blank accessibile, LISten Project propone degli approfondimenti in LIS con sottotitoli in italiano sulla riceca di alcuni degli artisti più rilevanti del panorama contemporaneo:
    – Regina José Galindo
    – Laura Pugno
    – Jessica Stockholder
    – Göksu Kunak
    – Gian Maria Tosatti 

    SCHOOL PROJECTS
    SCHOOL PROJECTS

    The Blank Educational propone alle scuole di diverso grado un progetto didattico volto a indagare un tema sensibile per l’attualità e per la collettività come quello del dono, concetto attorno al quale si strutturano numerose attività dell’associazione nel 2020.
    Il tema del dono viene proposto ai bambini e ai ragazzi sotto forma di laboratori ispirati a due degli artisti in mostra nella X Edizione del Festival di Arte Contemporanea ArtDate 2020 (12-15 novembre 2020), Alberto Garutti e Namsal Siedlecki.

     

    Che cosa significa donare?
    Se dono, mi aspetto di avere qualcosa in cambio?
    In quanti modi si può donare?
    Che cosa si può donare?
    Si può donare il tempo, un sorriso o un oggetto?

     

    Le proposte sono rivolte alle scuole dell’infanzia, della primaria e della secondaria di primo grado, secondo una modalità nuova, che rende tutti i partecipanti attori dello stesso progetto.

    ARTDATE 2019 ESSERE PARTE/BEING PART OF | 14.11.2019 - 17.11.2019
    [= ARTDATE == 2019 == ESSERE ===== PARTE = BEING ==== PART ==== OF ==== 14.11.2019 ==== 17.11.2019 =]

    Giovedì 14, venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 Novembre, Bergamo ospita la nona edizione del Festival di arte contemporanea ArtDate, per la prima volta organizzato in autunno, protagonista di una programmazione culturale della città che si dispiega lungo tutto l’anno.
    Diventato nel corso del tempo un punto di riferimento capace di avvicinare e promuovere l’arte contemporanea presso un pubblico ampio e diversificato, la nona edizione del Festival presenta numerose novità di rilievo, dando principale attenzione alle tematiche di accessibilità e partecipazione.
    Essere Parte / Being Part Of, sviluppato attorno a 6 sezioni tematiche (Show Time, Talk, Collezioni e Dimore, Studio Visit, Kids, ArtErasmus), è una riflessione estesa sul significato di condivisione, che parte dal corpo umano e si estende fino al corpo sociale e politico.
    Il tema attorno cui si sviluppa il Festival è legato all’importanza dell’attività e dell’autonomia del singolo operante all’interno di un sistema che lo sostiene e ne valorizza l’unicità, un’analisi sulla cooperazione nel rispetto della contestuale indipendenza.
    Come in un organismo, in cui la salute e l’autosufficienza delle parti sono funzionali al benessere del corpo che le ospita, così le varie realtà che partecipano ad ArtDate conservano e coltivano una loro singolarità, ma nella convinzione che coordinandosi sia più semplice ottenere il proposito prefisso:
    nella fattispecie, la crescita e il potenziamento della vita culturale della città.
    L’impegno collettivo si sposa dunque con l’alto grado di autonomia e iniziativa individuale in favore del perseguimento dell’intento condiviso.
    Il Festival si sviluppa in più di 30 appuntamenti che coinvolgono tutta la città di Bergamo. Sono presentati i lavori di oltre 100 artisti e all’interno dei progetti sono coinvolte prestigiose istituzioni quali GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Dipartimento Educazione Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, BeGo – Museo Benozzo Gozzoli, MAMbo –Museo d’Arte Moderna di Bologna, Museo Thyssen Bornemisza di Madrid e TATE Modern di Londra.

    IN PRATICA
    [=== IN ==== PRATICA ==]

    La Residenza IN PRATICA è il progetto vincitore del bando “Per Chi Crea”, sostenuto da Mibac e SIAE, realizzato in collaborazione con AIR – artinresidence e in partnership con da FAREViaindustriae. Da ottobre a novembre 2019, 6 artisti italiani under 35, selezionati da una giuria internazionale, realizzano un programma di residenza tra Foligno e Bergamo.

    Gli artisti sono stati scelti tra i candidati dalle residenze della rete di AIR-artinresidence chiamate a collaborare al progetto proponendo ciascuna fino a un massimo di due artisti italiani under 35.

    I vincitori sono:

    Giovanni Chiamenti candidato da VIR Viafarini-in-residence, Matteo Coluccia candidato da GuilmiArtProject, Edoardo Ciaralli candidato da GuilmiArtProject, Mattia Ferretti candidato da Diogene-Bivaccourbano, Ludovico Orombelli candidato da R.A.M.O. Ritratto a Mano e Roberto Memoli candidato da RAMDOM.

    La giuria che ha selezionato gli artisti vincitori è composta da Stefano Raimondi, Carlo Sala e Eugenio Viola.

    Premio Matteo Olivero 40a EDIZIONE
    PREMIO MATTEO OLIVERO
    Premio Matteo Olivero 40a EDIZIONE

    Photo credits: Nadia Pugliese



        [== LINK ==]

    L’opera vincitrice, Analemma, è stata proposta dal duo di artisti newyorkese Mark Barrow & Sarah Parke, ed è stata allestita presso Cappella Cavassa, una sala rinascimentale inserita nel chiostro del convento di San Giovanni a Saluzzo. L’opera è tutt’ora presente nella Cappella.

    La 40a edizione del Premio Matteo Olivero ha invitato attraverso una open call artisti italiani e internazionali, senza limiti di età e di utilizzo dei mezzi espressivi, alla progettazione di una mostra personale sul tema Ricordare la memoria.

    Il totale delle candidature pervenute per partecipare al Premio ammonta a 336. A giudicarle è stata una giuria composta da:

    Stefano Raimondi, Direttore di The Blank Contemporary Art e Direttore Artistico di ArtVerona
    Eva Fabbris, storica dell’arte e curatrice della Fondazione Prada di Milano
    Leah Pires, scrittrice e curatrice
    Roberto Giordana, vicepresidente della Fondazione CRC di Cuneo
    Arturo Demaria, membro della Fondazione Amleto Bertoni

    Premio Matteo Olivero 41a EDIZIONE
    PREMIO MATTEO OLIVERO
    Premio Matteo Olivero 41a EDIZIONE



        [== LINK ==]

    L’edizione 2019 del Premio Matteo Olivero è stata la prima ad adottare il format su invito, che ha poi mantenuto.

    L’edizione 2019 ha visto come artista vincitore il colombiano Santiago Reyes Villaveces (1986). A nominarlo è stato Eugenio Viola.
    L’opera Harp è stata allestita nella Sacrestia della Chiesa di Sant’Ignazio, a Saluzzo. L’opera è stata donata dall’artista alla Città ed è tutt’ora presente all’interno della Sacrestia.

    A selezionare gli artisti sono stati i seguenti advisor internazionali:

    Lorenzo Balbi, Michael Bank Christoffersen, Andrew Berardini, Ginevra Bria, Andrea Bruciati, Emily Butler, Domenico De Chirico, Julia Draganovic, Fredi Fishli, Sara Fumagalli, Georgia Horn, Denis Isaia, Ellen Kapanadze, Lara Khaldi, Sam Korman, Luca Lo Pinto, Simone Menegoi, Bernardo Mosqueira, Alberta Romano, Sona Stepanyan, Marianna Vecellio, Saverio Verini, Eugenio Viola, Xiaoyu Weng.

    Gli artisti selezionati per la 41a edizione sono stati:

    Paola Angelini, Riccardo Arena, Mehraneh Atashi, Ruth Beraha, Luca Bertolo, Bruno Botella, Benji Boyadgian, Dachal Choi, Fabrizio Cotognini, Pauline Curnier Jardin, Anne De Boer, Aria Dean, Paul Eastwood, Farhad Farzali, Francesco Gennari, Oscar Giaconia, Corinna Gosmaro, Ayrson Heraclito, Jacob&Manila, Gvantsa Jishkariani, Andre Komatsu, Phanos Kyriacou, Leigh Ledare, Isaac Lythgoe, Andrea Mastrovito, Luca Monterastelli, Jade Montserrat, Sveta Mordovskaya, Ebechova Muslimovam Oren Pinhassi, Gala Porras Kim, Carlos Reyes, Santiago Reyes Villaveces, Adam Stamp, Jennifer Taylor, Rebecca Topakian, Nicola Verlato, Jan Vorisek, Jakub Woynarowski, Zapruder, Davide Zucco.

    A giudicare i progetti pervenuti è stata una giuria composta da:

    Stefano Raimondi, Direttore di The Blank Contemporary Art e Direttore Artistico di ArtVerona
    Chrissie Iles, Curatrice del Whitney Museum di New York
    Nicola Ricciardi, Direttore delle OGR di Torino
    Roberto Giordana, Vice Direttore Generale della Fondazione CRC di Cuneo
    Arturo Demaria, membro della Fondazione Amleto Bertoni

    Premio Matteo Olivero 42a EDIZIONE
    PREMIO MATTEO OLIVERO
    Premio Matteo Olivero 42a EDIZIONE

    Photo credits: Chiara Bruno



        [== LINK ==]

    È l’artista tedesco Veit Laurent Kurz il vincitore della 42° edizione del Premio Matteo Olivero.
    L’inaugurazione della mostra, dopo esser stata rimandata a causa dell’emergenza coronavirus, si è tenuta il 2 ottobre 2020 presso la Sala “de Foix” di Casa Cavassa (Saluzzo, Piemonte).

    Ad assegnare questa edizione del Premio una giuria internazionale composta da:

    Marianna Vecellio, curatrice del Castello di Rivoli di Torino
    Ruba Katrib, curatrice del MoMA PS1 di New York
    Stefano Raimondi, Direttore di The Blank Contemporary Art e Direttore Artistico di ArtVerona
    Roberto Giordana, vicepresidente della Fondazione CRC di Cuneo
    Arturo Demaria, membro della Fondazione Amleto Bertoni.

    A segnalare l’artista vincitore è stata Caterina Molteni (Curatrice indipendente), che come altri professionisti del settore ha preso parte in qualità di advisor al Premio: Ilaria Bonacossa (Direttrice di Artissima, Torino), Michele Bonuomo (Direttore del mensile «Arte»), Elisa Carollo (Consulente d’arte), Irene Sofia Comi (Curatrice indipendente e critica d’arte), Laura Copelin (Direttrice esecutiva e curatrice Ballroom Marfa), Alfredo Cramerotti (Direttore MOSTYN, Galles), Giacinto Di Pietrantonio (Professore di Storia dell’Arte Accademia di Brera, Milano, Critico e Curatore Indipendente), Matilde Galletti (Storica d’arte, critica e curatrice), Matteo Ghidoni (Architetto ed editore), Antonio Grulli (Critico d’arte e curatore indipendente), Laura Lecce (Buyer per la sezione Design+Art del gruppo Yoox Net-A-Porter), Hanne Mugas (Direttrice Kunsthall Stavanger), Andrea Neustein (Curatrice indipendente), Letizia Ragaglia (Direttrice Museion, Bolzano), Maria Chiara Valacchi (Fondatrice spazio non-profit Cabinet di Milano), Benjamin Weil (Direttore artistico Centro Botín, Santander).

    Gli artisti selezionati per la 42a edizione sono: Rosa Aiello, Olì Bonzanigo, Alfonso Borragán, Guendalina Cerruti, Roberto Coda Zabetta, Keren Cytter, Louis De Belle, Violet Dennison, Sarah Entwistle, Irene Fenara, Miguel Fernández de Castro, Anna Franceschini, Emily Jones, Veit Laurent Kurz, Sonia Leimer, Hanne Lippard, Marcovinicio, Silvia Mariotti, Ornaghi & Prestinari, Edoardo Piermattei, Giuliana Rosso, Gabriel Rico, Oscar Santillan, Lise Stoufflet, Patrick Tuttofuoco, Alice Visentin, Kennedy Yanko, Italo Zuffi.

    IRENE FENARA | TÈ E BISCOTTI
    [= IRENE FENARA = TÈ E BISCOTTI =]

    THE BLANK KITCHEN
    IRENE FENARA
    TÈ E BISCOTTI
    Venerdì 24 gennaio 2020, ore 9:30-12
    Studio di Irene Fenara
    Fondazione Collegio Artistico Venturoli
    via Centotrecento 4, Bologna



        [== LINK ==]

    Venerdì 24 gennaio, The Blank propone The Blank Kitchen | Irene Fenara – Tè e biscotti, appuntamento culinario organizzato in occasione della Bologna Art Week presso lo studio di Irene Fenara a Bologna dalle 9:30 alle 12:00.

    The Blank Kitchen nasce con il desiderio di far entrare alcuni dei più interessanti artisti del panorama internazionale in relazione con gli appassionati d’arte e i curiosi attraverso uno strumento trasversale e conviviale come quello del cibo e della cucina.

    Nata a Bologna nel 1990, Irene Fenara è un’artista italiana che lavora soprattutto con la video installazione e la sperimentazione fotografica, incentrata sull’interazione con le fotocamere di sorveglianza. La sua ricerca indaga il concetto di tempo e memoria, lavorando con immagini che ribaltano i punti di vista e generano situazioni di disorientamento spaziale, “con un occhio rivolto alle tecnologie e l’altro al cielo”.

    ITALIAN COUNCIL 2019 - GIAN MARIA TOSATTI
    [=== ITALIAN === COUNCIL == 2019 ===== GIAN == MARIA ===== TOSATTI =]

    [= Episodio di Odessa =]

    Talk:
    Around the end of the world or about the end of mankind
    8 dicembre ore 18.00 (ora italiana)

    Kyiv – IZONE, Naberezhno-Lugova St, 8
    Talk organizzata da Izolyatsia – Platform for Cultural initiatives, The Blank Contemporary Art, l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura di Kiev, in occasione della Giornata del Contemporaneo, iniziativa promossa da AMACI (Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani).

    Info:
    Return to Odessa
    Museum of Contemporary Art, Odessa
    12 dicembre, 19.00
    La mostra è visitabile dal 14 dicembre al 15 gennaio 2021
    Odessa, spiaggia del lago Kuyalnyk, Ucraina

    [= Episodio di Istanbul =]



        [== LINK ==]

    The Blank Contemporary Art è lieta di essere tra i vincitori dell’Italian Council (settima edizione, 2019), programma di promozione di arte contemporanea italiana nel mondo della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.

    Il Ministero ha premiato il progetto dell’artista Gian Maria Tosatti Dittico del Trauma, che ha come obiettivo quello di mostrare gli aspetti controversi di determinati contesti europei, realizzando dei “ritratti” della società privi di posizioni politiche personali o di convinzioni arbitrarie. Nello specifico l’artista indaga i panorami offerti dai contesti dell’Ucraina (Episodio di Odessa) e della Turchia (Episodio di Istanbul), luoghi emblematici dell’Europa contemporanea in cui si è consumato un trauma che ne ha alterato fortemente il tessuto culturale, politico e territoriale. I lasciti vengono esaminati dal punto di vista intimo e umano del cittadino sul quale inevitabilmente incidono, mettendone in discussione l’identità.

    L’artista realizzerà due installazioni ambientali, una per ogni area. La restituzione finale dell’intera esperienza avverrà nella città di Bergamo, in una mostra che racchiuderà i due “episodi” che, facenti parte dello stesso progetto, andranno a formare il Dittico del Trauma.
    Il progetto sarà accompagnato dalla realizzazione di un catalogo che documenterà le mostre e includerà testi critici volti a testimoniare lo stato attuale della nostra civiltà e immagini di documentazione degli interventi. Il catalogo sarà presentato ufficialmente in occasione della mostra a Bergamo.

    Progetto realizzato in collaborazione con: RUFA – Rome University of Fine Arts (Roma, Italia), Accademia di belle arti di Napoli (Napoli, Italia), IZOLYATSIA. Platform for Cultural Initiatives (Kiev, Ucraina), Depo (Istanbul, Turchia).

    Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) è un artista visivo.
    I suoi progetti sono indagini di lunga durata su specifici temi legati al concetto di identità dal punto di vista politico e spirituale. Il suo lavoro consiste principalmente in installazioni site specific di larga scala, concepite per interi edifici o aree urbane. La sua pratica coinvolge spesso le comunità dei luoghi in cui opera. Nel 2015 ArtReview lo ha inserito nella lista dei trenta artisti più interessanti della sua generazione (Future Greats). Nel 2014 la rivista internazionale Domus ha incluso la sua installazione My dreams, they’ll never surrender tra le dieci migliori mostre al mondo per quell’anno. Tosatti è anche giornalista, editorialista per il Corriere della Sera e per la rivista Opera Viva, scrittore di saggi sull’arte e sulla politica.
    Il suo lavoro è stato esposto all’Hessel Museum del CCS BARD (New York – 2014), al museo MADRE (Napoli – 2016), al Lower Manhattan Cultural Council (New York – 2011), alla Galleria Nazionale (Roma – 2017), al Petah Tikva Museum of Art (Petah Tikva – 2017), al Museo Archeologico di Salerno (Salerno – 2014), all’American Academy in Rome (Roma – 2013), al Museo Villa Croce (Genova – 2012), al Palazzo delle Esposizioni (Roma – 2008), al Chelsea Art Museum (New York – 2009), alla BJCEM (2014).

    VISITE GUIDATE ACCESSIBILI
    VISITE GUIDATE ACCESSIBILI

    LISten Project organizza visite guidate accessibili in Lingua dei Segni Italiana a collezioni permanenti, mostre temporanee e installazioni. Le visite guidate sono condotte da mediatori culturali LIS in grado di progettare percorsi tematici e modulari e di interagire direttamente con il pubblico in LIS senza il bisogno della mediazione di un interprete.

    Premio Matteo Olivero 43a EDIZIONE
    PREMIO MATTEO OLIVERO
    Premio Matteo Olivero 43a EDIZIONE

    Photo credit: Giuseppe D’Anna



        [== LINK ==]

    È Roberto Pugliese il vincitore del 43° Premio Matteo Olivero.

    La giuria composta da Ilaria Bonacossa, dal 2017 direttrice di Artissima Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Torino, Alessandro Rabottini critico d’arte, curatore e direttore artistico della Fondazione In Between Art Film, Arturo Demaria consigliere della Fondazione Amleto Bertoni, Roberto Giordana vicedirettore generale della Cassa di Risparmio di Cuneo insieme a Stefano Raimondi curatore del Premio, dal 2010 direttore di The Blank Contemporary Art e dal 2020 direttore artistico di ArtVerona ha assegnato all’unanimità il Premio Matteo Olivero 2021 a ROBERTO PUGLIESE con il progetto Sinestesia Eco

    L’opera, un’installazione sonora che sarà collocata sulla facciata del nuovo Centro Studi sulle Tastiere Storiche di Saluzzo, creerà un dialogo armonico tra i contenuti e gli strumenti presenti all’interno del Centro Studi e l’architettura esterna, trasformando l’edificio in un modello di Palazzo Musicale. Sinestesia Eco, quale cassa armonica delle attività di composizione del Centro Studi, metterà in dialogo passato e presente, unendo la tradizione musicale classica alle sperimentazioni elettroniche contemporanee. La natura al tempo stesso visiva e uditiva dell’opera sarà capace di interagire e coinvolgere la comunità del territorio e di essere al tempo stesso motore di un percorso culturale che la città di Saluzzo ha attivato attraverso il Premio Matteo Olivero. 

    La giuria ha inoltre attribuito due menzioni speciali a Raffaela Naldi Rossano e Eugenio Tibaldi per le proposte presentate e riconosce la grande qualità di tutti i progetti presentati ringraziando gli artisti e gli advisor che hanno preso parte al premio.

    A segnalare i 27 finalisti del premio sono stati infatti prestigiosi advisor del panorama internazionale: Jessica Bianchera (storica dell’arte, curatrice indipendente e project manager, direttore artistico di Spazio Cordis e presidente di Urbs Picta), Daniele De Luigi (curatore di Fondazione Modena Arti Visive), Sara Dolfi Agostini (curatrice di Blitz Valletta, Malta), Rossella Farinotti (critica d’arte contemporanea e di cinema), Ilaria Gianni (co-fondatrice del Magic Lantern Film Festival), Lucrezia Longobardi (critica d’arte e curatrice indipendente), Matteo Lucchetti (curatore e scrittore), Lorenzo Madaro (Curatore d’arte contemporanea e docente di Storia dell’arte e Fenomenologia delle arti contemporanee nell’Accademia di Belle Arti di Lecce), Angel Moya Garcia (critico e curatore, è responsabile della programmazione del Mattatoio, Roma), Claudio Musso (critico d’arte, curatore indipendente, docente presso l’Accademia G. Carrara di Belle Arti di Bergamo), Domenico Quaranta (critico d’arte contemporanea, curatore e docente), Silvia Salvati (curatrice al Museo MADRE, Napoli), Valentina Tanni (storica dell’arte, curatrice e docente), Francesco Tenaglia (giornalista e direttore artistico dello spazio espositivo Sgomento Zurigo, Zurigo), Alessandra Troncone (storica dell’arte, curatrice e co-direttrice artistica di Underneath the Arches).

    Il percorso di selezione, quest’anno finalizzato alla valorizzazione e al supporto di artisti italiani e residenti in Italia, ha candidato al Premio Matteo Olivero Filippo Berta, Letizia Calori, Lucia Cristiani, Daniele D’Acquisto, Giuseppe De Mattia, Antonio Della Guardia, Federica Di Pietrantonio, Binta Diaw, Christian Fogarolli, Ettore Favini, Riccardo Giacconi, Alberto Gianfreda, Norma Jeane, Mariangela Levita e Domenico Crisci, Jacopo Mazzonelli, Raffaela Naldi Rossano, Alek O., Parasite 2.0 e Ludovica Galletta, Donato Piccolo, Roberto Pugliese, Margherita Raso, Marinella Senatore, Michele Spanghero, Marco Strappato, Eugenio Tibaldi, Gian Maria Tosatti

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    A CENA CON IL REGISTA | VALENTIN HOTEA | 09.03.14