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    TB BOARD | INTERVISTA A ORNAGHI & PRESTINARI
    TB BOARD | INTERVISTA A ORNAGHI & PRESTINARI
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    INTERVISTA A ORNAGHI & PRESTINARI
    ELISA MUSCATELLI

    ELISA MUSCATELLI – Come descrivereste la vostra ricerca a un pubblico che si approccia a voi per la prima volta?

    ORNAGHI & PRESTINARI – Nella nostra pratica è  centrale il tema della relazione con  l’altro e dell’incontro,  ci interessa anche la tematica del  prendersi cura, del dialogo e del confronto,  il rapporto con i materiali e le potenzialità,    e i processi di produzione.  Siamo interessati alla cultura  materiale in generale, quindi il rapporto  anche dell’uomo con l’oggetto, dalla  progettazione fino alla produzione del lavoro, e anche ai materiali di scarto  e tutto il gioco del ciclo di  vita dell’oggetto.

    EM – Lavorate dal 2009 come duo artistico. In che modo si esprime l’individualità di ciascuno di voi all’interno delle opere?

    O&P – Diciamo che noi siamo  prettamente interessati all’espressione  dell’individualità all’interno del lavoro, infatti fin dai primi lavori è emerso  subito come il  nostro dialogo facesse nascere qualcosa  di nuovo che non fosse né totalmente  mio né tanto meno di Valentina, ma che  fosse qualcosa di terzo che nascesse  dalla relazione tra le nostre  specificità e le nostre caratteristiche,  e questo porta a far sì che i nostri  lavori abbiano una dualità intrinseca   e un porre l’accento su quella che è la  dimensione del collettivo piuttosto che  sull’individuale.

    EM – Nelle vostre opere incontro è una parola chiave, non solo incontro d’idee e materiali diversi che si congiungono nella stessa opera, ma anche incontri con luoghi differenti in cui avete operato, dall’ex chiesa di Ognissanti a Fermo, alla Biblioteca Comunale Ariostea a Ferrara, fino al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza e il parco ArtLine di Milano. Come vi approcciate allo spazio espositivo?

    O&P –  Come si diceva prima appunto il nostro  lavoro è molto rispetto al dialogo, quindi nasce  di volta in volta in  contesti diversi e trae proprio dal  contesto uno dei pretesti di spunto, esatto.  Sì quindi non è soltanto un dialogo tra di noi,  ma ci interessa proprio  lasciarci suggestionare dalle  caratteristiche dello spazio espositivo,  dalla storia di ogni luogo,  dall’incontro con le persone.  Questo modo di  procedere anche deriva dalla nostra  formazione in architettura e design, e  quindi la nostra sensibilità poi si è  strutturata in questa direzione, quindi  anche molto site-specific.

    EM – C’è una prova del fuoco ufficiosa per cui ogni designer prima o poi deve confrontarsi con la progettazione di una sedia. Nel 2016 avete prodotto Leggera, reinterpretando la celebre seduta di Gio Ponti. Cosa dice quest’opera del vostro rapporto con l’arte e con il design?

    O&P – L’opera Leggera nasce insieme a  un corpus di lavori che riflettevano  tutti su oggetti iconici del design  italiano. Diciamo che erano tutta una serie di  sculture che partivano da questi oggetti  iconici, ma venivano riletti in una chiave  come se fossero filtrati dalla memoria e  quindi non erano delle  citazioni testuali, ma erano quasi dei  ricordi, delle cose, dei ritratti. In quel pezzo in particolare  eravamo partiti dall’interesse di  studiare lo specifico incastro che  aveva reso possibile la realizzazione  della seduta e avevamo deciso di  svuotare la seduta dalla sua  possibilità appunto di poter essere  utilizzata e quindi  rimanevano solo tre gambe, che erano  il numero minimo perché  gli elementi potessero sorreggersi l’un l’altro esclusivamente incastrandosi gli uni agli altri,  ed era anche una sorta di riflessione    sull’idea del design, l’idea utopica del  design, come la possibilità di avere  oggetti diciamo belli per tutti.

    EM – Alabastro, legno, plastica, ceramica, liberati dalla schiavitù della funzionalità tornano a essere superfici vive nelle vostre opere. È il materiale che guida la forma dell’opera o viceversa? Il passaggio dalla formazione tecnica a quella artistica ha influito sul vostro rapporto con i materiali?

    O&P – Premettendo che spesso  lavoriamo con  oggetti quotidiani e quindi con forme  molto familiari e domestiche che  mantengono un’idea d’intimità, di  affettività rispetto all’oggetto,  noi non svuotiamo del tutto  il materiale dalla sua funzionalità,  nel senso che  possiamo dire che  tante volte l’oggetto mantiene in  qualche modo la sua funzione di oggetto,  ma è come se fosse in qualche modo  impazzito, come ad esempio  i vasi che abbiamo realizzato,  oppure l’opera Bedroom, che è a tutti gli  effetti un letto utilizzabile.  I materiali in qualche modo  non per forza negano la loro funzione, ma  è come se fossero in qualche modo  disadattati rispetto alla realtà.  Tante volte l’idea nasce appunto da  un’intuizione mentale,    dai nostri dialoghi, spesso però anche  dal materiale e  mentre magari stiamo realizzando  artigianalmente un altro lavoro. La cosa sicuramente che è una costante  è che non cerchiamo mai di forzare un’idea  rispetto materiale, ma cerchiamo sempre    di assecondare limiti del materiale  e assecondandone le caratteristiche.    Sì diciamo che una cosa su cui ci  siamo interrogati e che ci interessa è come  uscire da un’ottica  funzionale rispetto al materiale, cioè  molto spesso il materiale viene  utilizzato in funzione della  sue potenzialità, e ad esempio della sua estetica.  A noi interessa invece  in che modo il materiale ci interroga, e quindi indagare su come quel materiale in  realtà per noi acquisisce un significato,  che cosa ci può insegnare.

    EM – Quale è stato per voi un riferimento storico, letterario o cinematografico di grande impatto nello sviluppo della vostra carriera artistica e personale?

    O&P – Dunque, non ci sentiamo di citare in  particolar modo un riferimento che ha  dato una svolta all’interno del nostro  percorso, ma possiamo parlare di una  costellazione di riferimenti che hanno  di volta in volta influenzato e  arricchito ogni progetto, quindi  riferimenti legati alla storia dell’arte antica, ma anche l’ispirazione data dal lavoro  di Giorgio Morandi,  piuttosto che gli Haiku e l’arte Zen,  oppure i racconti di Italo Calvino e  il cinema di Ozu.

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