INTERVISTA A GÖKSU KUNAK a.k.a. GUCCI CHUNK
ELISA MUSCATELLI
Elisa Muscatelli – Come descriveresti la tua pratica artistica a un pubblico che la incontra per la prima volta?
Göksu Kunak – Descrivere il mio lavoro a una persona o a un pubblico che non ha mai visto i miei lavori, lo spiegherei come lo sto dicendo ora: è basato sul testo, faccio performance, installazioni ed installazioni performative basate sul testo. Con questo intendo dire che parto sempre dal testo e alcuni elementi del testo si trasformano poi in elementi visuale, in oggetti, in tableaux vivants, o in movimenti. Sono molto interessatə alla cronopolitica, alla politica del tempo, specialmente alla cronopolitica queer, e anche all’Asia sud-occidentale, alla politica e alla cronopolitica mediorientale.
Questi sono i pilastri, le basi del mio lavoro. Sono anche molto interessatə alla fantascienza mediorientale, alla narrativa speculativa, e anche ai programmi televisivi, ai programmi televisivi turchi, e a come i mass media sono stati usati per certi discorsi politici attraverso l’intrattenimento.
Le mie ricerche si basano molto sulla Tarda Modernità, e anche la mia educazione è stata influenzata da questo perché ero musulmanə e ho avuto un’educazione religiosa, ma eravamo anche laicə, e questo è un problema, che la maggior parte degli occidentali non capisce a causa della loro prospettiva dell’Islam. Grazie a questo, mi sono anche molto interessatə alla musica e alla cultura Arabesk, perché mio padre la amava, e la ama ancora. Credo anche io di amare la musica Arabesk, ma me ne sono sempre vergognatə un po’ perché non era un genere occidentale, era molto orientale e radicata nella storia della Turchia, ed è qualcosa che ho iniziato ad apprezzare, e ora, quando vado a fare una passeggiata, ascolto quasi sempre musica Arabesk e mentre mi addentro nelle idiosincrasie della musica araba ascolto le storie, la musica, i suoni che sono usati in questo genere, e anche le molte ripetizioni.
EM – Il tuo nome di nascita, Göksu Kunak, ha come aka Gucci Chunk e dopo tempo hai deciso di utilizzare il pronome they nella tua bio di riferimento. Cosa vogliono trasmettere queste scelte?
GC – Il nome è venuto a causa di Microsoft Word perché siccome il mio nome è turco, Microsoft Word non lo riconosce e corregge sempre il mio nome come Gucci Chunk, così ho preso quel nome come mio nome occidentale. E questo dice molto sulle impostazioni predefinite e le comprensioni predefinite di tali programmi che sono di solito progettati in Occidente. Questo vale anche per molti esempi di amici |…| come ad esempio Anna Fries, che stanno lavorando con la tecnologia VR, e mi hanno detto che mentre noi siamo scansionati con facilità, certi tipi di corpi o corpi con sedie a rotelle sono molto difficili da scansionare, perché i programmatori di questi programmi di scansione non contano tali corpi come realtà, il che è molto triste. E questa è l’esclusione e la discriminazione, e i problemi che affrontiamo in questa realtà, naturalmente, si rispecchiano e si mappano anche nella realtà virtuale. E questo, in un certo senso è simile a come certi programmi e sistemi predefiniti definiscono certi corpi o certe identità e le ritengono valide o meno. La mia scelta di essere non-binario si riferisce anche a questo, non mi sento come questo o quello, mi sento come moltə ed è per questo che uso il pronome loro ed è per questo che uso nomi diversi anche con ironia. Ecco perché ho preso Gucci Chunk come altro nome, anche se recentemente, ad essere onesti, sto utilizzando più il mio nome di origine, ma c’è stato un periodo che trovavo il nome così esilarante che ho deciso di usare anche questo nome autocorretto a pari merito.
EM – Nelle performance a volte ti presenti senza vestiti, altre con oggetti di scena: un bustino, un apribocca extra orale, scarpe dal design eccentrico. In che modo questi oggetti contribuiscono alla creazione dell’opera e della tua personalità sul palco?
GC – Per quanto riguarda gli oggetti di scena e le scenografie e anche i costumi che uso nelle mie performance e installazioni, direi che ci sono diverse cose che influenzano queste scelte. Una di queste è il varietà televisivo mattutino in Turchia di cui parlavo prima, perché in questi spettacoli per esempio possono essere riuniti oggetti apparentemente senza alcun legame, come un modellino di scheletro accanto a un mini-Segway o dei materiali da cucina, si vede un letto d’ospedale e poi una band che canta e suona, questo perché questi oggetti compongono la drammaturgia di questi spettacoli. La drammaturgia di questi spettacoli è molto interessante nel senso che è molto ibrida e una cosa dopo l’altra, in una velocità neoliberale. Così, questo è un aspetto che uso nei miei spettacoli, anche quando si tratta di scegliere certi oggetti un’altra cosa è come a causa della biopolitica. Mia madre e mio padre sono entrambi medici, mi interessano gli utensili, gli strumenti che i medici usano o i corsetti o il Botox o altri apribocca come certi oggetti che creano modifiche corporee fai da te, questo è qualcosa che mi interessa.
EM – La tua pratica artistica indaga cronopolitica, diritti, identità e linguaggio in un’ottica di consapevolezza e cambiamento, dove il palco diviene un’estensione della tua realtà. Cosa ne pensi dell’assottigliarsi della linea di confine tra arte e attivismo sociale?
GC – Il mio lavoro è molto politico, forse non sempre lo è in modo esplicito e a volte lo è usando l’astrazione, ma i testi che scrivo sono politici, e il contesto è soprattutto in relazione alle strutture patriarcali eteronormative e la critica di queste strutture. Quindi lo ritengo politico di per sé, ma non posso dire che faccio attivismo. Penso che l’attivismo sociale sia un impegno totalmente diverso, ed è estremamente difficile. Lo trovo estremamente difficile, e quello che faccio non è attivismo, è arte, ma ha un importante terreno politico. Nel mio caso, ad esempio, durante la mia crescita e quando stavo diventando unə giovane adultə, certe opere d’artista hanno cambiato la mia percezione politica di questo mondo. Quindi credo che l’arte possa aiutare a cambiare il mondo perché io in prima persona ho visto questo cambiamento, e l’ho visto anche in altre persone. Perché l’arte ti mostra un’altra realtà o, per usare un cliché, ti fa mettere in discussione altri modi di essere. Una cosa che ci tengo a precisare è che ho usato molto le parole Oriente e Occidente e la politica mediorientale e uso questi binomi e queste parole forti di proposito, perché in Turchia cresciamo con questa consapevolezza che la Turchia è un ponte tra l’Oriente e l’Occidente, e dato che siamo mediorientali, ovviamente la politica degli Stati Uniti, o come l’Europa o la Germania producono certe armi e come questo influenza la regione è qualcosa a cui sono molto sensibile, e che poi riproduco nel lavoro, dove talvolta uso anche la derisione per parlare di questi argomenti.
EM – Si parla spesso di traduzione come atto politico – identitario, un esempio sono state le critiche rivolte a Marieke Lucas Rijneveld, “troppo biancə” per poter tradurre The Hill We Climb della poetessa afroamericana Amanda Gorman. Come vedi linguaggio artistico-performativo all’interno di questo dibattito?
GC – Se devo riflettere sul linguaggio e sulla performance, beh voglio dire che naturalmente l’inglese è una lingua coloniale, quindi tutti noi abbiamo |…|. Per scrivere è importante conoscere bene la lingua, ma allo stesso tempo uso di proposito lingue ibride creole, e una delle cose che amo è la lingua mista che si parla a Berlino, tra il turco e il tedesco, e come le frasi sono molto mescolate. È una cosa con cui mi confronto ancora dopo dieci anni di vita a Berlino. Allo stesso modo, c’è anche una lingua molto mista a Beirut, quando ho visitato Beirut, per esempio, ho sentito una frase iniziare in arabo e poi trasformarsi in francese e finire in inglese. Naturalmente dobbiamo pensare al passato colonialista e orientalista e allo stesso tempo pensare alla lingua che è vissuta in quel tempo, e trovo molto interessante come la gente trovi il proprio modo di contrastare le lingue egemoniche. Nelle mie performance e nei miei testi, faccio errori di proposito o uso il linguaggio parlato prendendo spunto dalle pubblicità o dalle strade, e usare questo linguaggio ibrido è importante per me. Riguardo la tua domanda su Amanda Gorman e la sua traduzione sì, voglio dire, certe esperienze penso possano essere raccontate solo attraverso altre persone che hanno esperienze simili. Per quanto riguarda il testo di Amanda Gorman, questo riflette davvero la realtà nel considerare il razzismo negli Stati Uniti, quindi sono d’accordo che la scelta di un traduttore bianco potrebbe non riflettere l’esperienza e ciò a cui il linguaggio mira veramente. Per esempio, quando The Time Regulation Institute è stato pubblicato in inglese, il primo traduttore era una persona della Turchia, e la versione che ho letto in inglese nel 2013 è stata tradotta da due traduttori americani. Penso che abbiano fatto un ottimo lavoro, ma naturalmente mi chiedo anche come sia davvero possibile riuscire a trasmettere ciò che Ahmet Hamdi Tanpinar stava cercando di dire. Mi piace e sembra che abbiano fatto un buon lavoro, ma penso che tali questioni e problemi dovrebbero essere visti in modo specifico nella località e pensando a come gli ambienti politici locali sono modellati e da cosa sono modellati.
EM – Ci sono dei riferimenti artistici, letterari, cinematografici che hanno avuto particolare impatto nello sviluppo della tua carriera artistica e personale?
GC – Se dovessi pensare a delle forti influenze nel mio lavoro direi che MTV è una di queste, da bambinə e da adolescente guardavo la TV, ora non la guardo più, ma la cultura pop mi ha influenzatə molto, ho anche scritto la mia tesi di laurea in storia dell’arte in relazione alla cultura pop. Il libro The Time Regulation Institute di Ahmet Hamdi Tanpinar, che è un libro di finzione speculativa che approfondisce la presa in giro della modernizzazione in Turchia, quel libro è un’influenza rilevante, o anche Testo Junkie di Paul. B. Preciado, ha cambiato molto nella mia percezione. Oltre a questo, le opere di Meg Stuart, molte performance che ho visto hanno cambiato la mia vita e la mia percezione e il mio lavoro. Matthew Barney, Ahmet Ögüt, Banu Cennetoglu, |…|. Un film che ho visto Ham on Rye, il tempo estraniante di questo film è stato molto influente per me quando stavo lavorando su AN(A)KARA, il pezzo che ho eseguito al Sophiensaele, e ho poi performato in vari modi in luoghi diversi. E Asiya Wadud, una straordinaria poetessa di Brooklyn, anche il suo lavoro è molto influente per me e |…|. E Ha Za Vu Zu dalla Turchia, un gruppo di performance molto interessante, e anche Ibrahim Mahama. Ci sono molti, molti nomi che posso nominare ma in questo momento direi questi.
Credo che questa sia la fine di questa sessione e grazie mille per avermi ascoltato e anche per avermi dato questo spazio. Vi auguro una vita meravigliosa.
HOPE YOU ARE WELL.
HOPE.
TURKEY IS A BRIDGE BETWEEN THE EAST AND THE WEST. DO NOT KEEP IT TO YOURSELF. REMAIN ALERT. HAVE A SAFE DAY.