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Marianna Simnett Hyena and Swan in the Midst of Sexual Congress 2019 Silk, velvet, wool, pewter, glass, steel, toy stuffing and polystyrene 230 × 150 × 230 cm Installation view Courtesy Sadie Coles HQ Photo credit: Tim Bowditch
Claudia Santeroni: Ciao Marianna, sono felicissima di fare questa intervista. Vidi il tuo lavoro per la prima volta pochi anni fa a Bologna durante The First Morning Fest of Unreasonable Acts”, evento curato da Antonio Grulli e Keren Cytter. Venne proiettato The Needle and the Larynx, che mi è rimasto impresso.
La nostra prima domanda in questo ciclo di interviste è sempre la stessa: come descriveresti il tuo lavoro ad una persona che non lo conosce?
Marianna Simnett: La mia ricerca è meticolosa ed intuitiva. L’esperienza personale, il sentimento e il mio istinto guidano le mie decisioni, sostenute da un’insaziabile fame di nuove sensazioni. La mia giornata inizia quasi sempre con un film, divoro un horror ogni mattina, scrivo, poi faccio arte e musica durante il giorno e leggo libri di notte.
CS: Lavori spesso con attori non professionisti, una predilezione che fu anche di Pier Paolo Pasolini, che desiderava le persone interpretassero sé stesse e perché non voleva che gli attori professionisti dessero una loro personale visione al ruolo.
Tu come mai hai questa inclinazione?
MS: Quel cattivone di Pasolini! Sono sempre disponibile ad ascoltare altre voci che possano influenzare il mio lavoro, ma perché passare attraverso la seccatura di fingere? Se serve una persona che interpreti un chirurgo, perché non si può semplicemente scritturare un chirurgo?
Mi piace anche lavorare con i bambini e gli animali perché sono disposti a giocare e non hanno ancora sviluppato quel senso di autoconsapevolezza o vergogna che li frena.
CS: È interessante la relazione che spesso crei tra il corpo umano e il corpo animale, rapporto anche questo ampiamente affrontato sia nel cinema sia nella letteratura, penso a Cronenberg come a Kafka.
Da cosa deriva la fascinazione per la siringa, la puntura, l’ago e le corde vocali?
(Di recente ho notato come in Paolo Sorrentino ritorni ciclicamente la figura del nano, per cui mi preme indagare il perché dei motivi ricorrenti nello sguardo del regista-artista).
MS: Ogni immagine che emerge più volte inconsciamente può essere letta come il sintomo di un trauma. Se un corpo viene colpito ripetutamente, il confine tra sé e il mondo viene danneggiato. Il mio interesse per gli strumenti che possono penetrare nella carne può anche essere interpretato come una possibilità di metamorfosi o una voglia di diventare qualcos’altro.
CS: So che sei musicista di formazione. Quanto e come incide la colonna sonora nel tuo lavoro?
Penso alla pervasività che ha la componente audio in lavori come quelli di Nathalie Djurberg, Quentin Tarantino o Matthew Barney.
MS: La musica nel mio lavoro è fondamentale, a volte può diventare un vero e proprio tormentone che ti entra in testa. Indugia e risiede in noi, a volte rimane anche per molto tempo dopo aver guardato il lavoro. Suoni e immagini hanno una relazione complessa e richiedono un’alchimia molto sottile per poter essere davvero d’effetto.
CS: Quali sono i tuoi registi preferiti?
MS: Oltre a Pier Paolo Pasolini di cui abbiamo già parlato direi anche Claire Denis, Kira Muratova, Shinya Tsukamoto, Robert Bresson, Hito Steyerl, Stanley Kubrick, Clive Barker, Lynne Ramsay, Yorgos Lanthimos, Werner Herzog, Agnès Varda, David Lynch, Emir Kusturica, Rainer Werner Fassbinder, Lotte Reniger, Catherine Breillat.
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