INGRESSO LIBERO
Inaugurazione: sabato 17 novembre 2018 ore 18,30, con la presenza di Mario Benedetti
dal 23 novembre al 1 dicembre 2108
orari di apertura: giovedì e venerdì 15,30 – 19,00; sabato 10,30 – 12,30 e 15,30 – 19,00
Galleria Quarenghicinquanta, via Quarenghi 50 – Bergamo (cortile interno)
Galleria Accademia Carrara – Giacomo, via Quarenghi 48 (vetrine su strada)
Edoardo Conte
per Mario Benedetti
“LAVORI IN CORSO”
Mostra fotografica in Galleria Quarenghicinquanta
È un’incursione nel retrobottega di un grande artista. Un luogo dove il lavoro dell’artista come quello dell’artigiano spesso è protetto da avvisi che ne vietano l’ingresso ai non addetti ai lavori.
Quali segreti e quali fatiche vi si nascondono? Edoardo Conte ha indagato quelle di Mario Benedetti per un quarto di secolo registrandone i gesti e la ritualità del fare come naturale conseguenza del suo concepire.
Ne ottiene un racconto evolutivo sia della sua creatività sia del progresso tecnologico di registrazione dell’immagine, il tutto raccontato senza rigore, da scorrere come le pagine di una rivista.
Spazi espositivi
Galleria Quarenghicinquanta, via Quarenghi 50 – Bergamo (cortile interno)
Galleria Accademia Carrara – Giacomo, via Quarenghi 48 (vetrine su strada)
INGRESSO LIBERO
Inaugurazione
sabato 17 novembre 2018 ore 18,30, con la presenza di Mario Benedetti
durata esposizione
dal 23 novembre al 1 dicembre 2108
orari di apertura
giovedì e venerdì 15,30 – 19,00; sabato 10,30 – 12,30 e 15,30 – 19,00
Considerazioni dell’autore
Non so se essere stati preposti dal destino a creatività compulsiva è stata un’opportunità o una calamità. Ad ogni modo una delle conseguenze piacevolmente autoinflittomi è stata di vivere assediato da una quantità di contenitori di stimoli e idee accatastati in modo più o meno ordinato che si sovrappongono a tutti gli altri ovvero a quelli del mio lavoro “vero”.
Schizzi, fotografie, ritagli d’articoli, libri, prototipi, simulacri, loghi, meccanica ed elettrotecnica, grafic designer e audio video. Insomma uno spazio ingombro d’intenzioni, di modelli, d’archetipi, di spunti, d’intuizioni, di progetti da realizzare, da lasciare dormienti o da dimenticare.
E stato tirando uno di quei cassetti che sono emerse le esplorazioni fotografiche scattate sul lavoro di Mario Benedetti. A volte sorpreso a volte indagato nel suo lavoro di retrobottega, scrutato senza un vero motivo se non la viva curiosità di scoprire un’attività affascinante.
Esse giacevano stratificate l’una sull’altra cronologicamente, testimoniando una storia di oltre un quarto di secolo di esplorazioni e collaborazioni. Visioni sedimentate come ere geologiche che denunciavano anche l’evoluzione della tecnologia nella registrazione delle immagini. Dalle ultime realizzate nei DVD con le clip video, poi i Compact Disc delle fotografie digitali ad alta definizione. Più sotto i floppy disk con le prime immagini digitali. Ancora più sotto delle scatoline arancioni con le diapositive. E ancora cilindri ermetici con negativi a colori lasciati in banda e infine sotto a tutto, gli storici negativi in bianco e nero tagliati diligentemente a sei fotogrammi e infilati nelle lunghe taschine delle pagine di raccoglitori in carta velina. Alcuni anche stampati a contatto per averne dei provini, come si faceva non molto tempo fa, ma ormai già in un’altra epoca.
Per un architetto fare l’artista e per un artista fare l’architetto è sempre stato per entrambi un desiderio inconfessabile, ma c’è qualcosa di meglio di una semplice invasione i campo: la sinergia. Questa condizione di grazia ottenuta a volte dibattendosi fra economie e committenza, è stata possibile e speriamo che in quei momenti si sia realizzato qualcosa che oltre a valer solo un racconto, ma valga anche per ciò che hanno lasciato.
Però fossero state anche solo storie, erano “storie” che non meritavano d’essere dimenticate in un cassetto, dovevano essere raccontate. La mia proposta a Dario Guerini e Mario Cresci ha suscitato il loro interesse e hanno reso possibile questa narrazione al pubblico.
Ciò che è stato selezionato è stato digitalizzato riducendosi a solo una porzione di memoria di una piccola chiave USB di qualche millimetro cubo lasciandomi affascinato e un po’ sgomento. Poi il tutto è finito tramite moderni plotter su fogli di Forex come pagine di una rivista da sfogliare o su gli ormai quotidiani monitor, nella speranza di raccontarvi un po’ di quel fascino del fare.
Le opere di un artista sono esposte al pubblico nelle gallerie, nei musei, le sue sculture a volte anche nei cortili o nelle piazze, esse appaiono così come l’autore le voleva. Sono opere compiute che comunicano emozioni, messaggi, ironie.
Ma quanto lavoro maturato, ripreso, sperimentato nascondono fra i loro chiari e scuri, quanto nei solchi della loro plasticità? Noi fruitori curiosi possiamo solo immaginarlo.
Purtroppo questo lavoro resterà sconosciuto e nel tempo quasi sempre dimenticato a favore del ricercato componimento finito. Eppure è in quel lavoro che l’opera è stata partorita, ha conquistato il suo diritto a esistere, fra intenzioni, scoperte, precisazioni, ripensamenti, riprese, fatiche e rinunce.
In questa mostra c’è un po’ del lavoro di un artista che ho indagato con interesse per decenni e che ho sentito il desiderio di fermare, testimoniare perché quella manualità rimanga più a lungo nei ricordi. Un lavoro capace di dare “storia e voce” alle carte, ai cementi, alle tele e ai piombi dalla loro presenza silenziosa. Una mostra che racconta alcune brevi storie nel tentativo di far conoscere quanti misteri si nascondono in un atelier d’artista e come agisce un artefice del saper fare. Indurre sensazioni di profumi e odori, rumori e silenzi, come si trasforma la materia e di come prendono forma le immagini.
L’ordine e il disordine, le materie prime selezionate o gli scarti ancora da riutilizzare, gli attrezzi allineati, i fogli ancora bianchi. E poi pennelli, i colori, le vernici, gli acidi, gl’inchiostri, gli ossidi, i reagenti e ancora mazzuoli, colle, lame, stracci, forbici, lime, bitume, carboncini, seghe, bulini e tarlatane. E inquietanti macchine nere capaci di stritolare immagini.
Lavoro e ancora lavoro affinché il prodotto finale fuori a lì, esibito al pubblico possa mostrarsi straordinario e brillare d’orgoglio.
(Edoardo Conte)
Il viaggio nel cantiere di Benedetti
(Dario Guerini)
I “lavori in corso” di Edoardo Conte ci accompagnano in un piacevole viaggio nel tempo, un viaggio iconografico che scandisce la lunga vita artistica di Mario Benedetti. Conte ci regala un diario visivo di pregevole fattura, frutto di una costante consapevole attenzione e stima verso uno dei massimi protagonisti dell’arte contemporanea. Dimostra di conoscere a fondo gli ingredienti dell’opera di Mario Benedetti, come l’instancabile perizia del fare, la costante ricerca di visioni e di nuovi materiali, la poesia con cui veste le sue creazioni. Con il linguaggio fotografico l’autore ci porta sui luoghi di lavoro, quasi dentro le opere in lavorazione, dove le mani ruvide dello scultore e del pittore si muovono alternando leggerezza e intensità così come il suo estro e il suo istinto suggeriscono. Se dobbiamo usare una categoria di oggi, Mario Benedetti è un artista analogico, manuale, che usa mani e cervello come un esperto artigiano della migliore storia. Un maestro nel trasformare e dar corpo a un’ispirazione e a un’idea astratta con una sorprendente abilità e con una capacità di improvvisazione appartenente solo alla storia dei grandi musicisti di jazz.
Nel racconto per immagini di Conte, la personalità di Benedetti emerge in modo inconfondibile e seducente. Anche Conte è un artista, un fotografo, soprattutto un architetto. Questo suo background lo ha facilitato a osservare per parecchi anni il lavoro di Benedetti, dividendo con lui momenti di riflessione e di progettazione, collaborando in fase di allestimento di opere esposte, apprezzando la sua mai sazia curiosità culturale e lo stile asciutto e diretto della sua personalità. Ne esce un racconto intenso che va oltre la documentazione e ci permette di entrare con naturalezza nel sorprendente complesso universo di un grande artista.
(Dario Guerini)
Il backstage dell’artista
(Cesare Chirici)
Una delle riflessioni meno consuete ma non prive di rilievo nell’economia della faticosa esperienza operativa del produttore d’arte, ha a che vedere col ruolo che può rivestire oggigiorno una pratica riflessiva ed espositiva orientata non tanto sulla formulazione dell’immagine dei manufatti ma sulla messa a fuoco di percorsi individuali, più o meno anfrattuosi, degli artisti, ove si rivela un’istanza di creatività quale emerge sia dall’impegno personale dell’operatore visivo nelle pieghe più recondite delle sue declinazioni (vedi il caso di Mario Benedetti) che dai contributi più rilevanti di alcune correnti artistiche contemporanee: quelle legate più al processo operativo che alla concretizzazione oggettuale, nonché gravide di senso nella direzione di una messa in mora dell’opera-merce da esporre e consumare alla stregua di un qualsiasi altro prodotto del sistema capitalistico. Tutto ciò in nome di una prospettiva estetica meno vincolata alle regole vigenti nel settore delle arti visive, che tendono ad accorciare il percorso che conduce all’opera compiuta mostrandosi meno aperte a eventuali ulteriori possibilità.
Non si tratta soltanto di realizzare opere d’arte utili al sistema per continuare ad affermare se stesso in un’orgia di autoreferenzialità e in nome della realizzazione di beni rifugio, si tratta di conservare la relazione con un’esperienza che ha i suoi profondi legami con la storia e col passato, e si caratterizza per un’urgenza interiore nella quale l‘aspetto elaborativo, e la dimensione artigianale che l’anima sono legati a una pratica ancestrale caratterizzata da una finalità il cui senso è custodito all’interno della pratica stessa(la finalità senza fine di kantiana memoria o il fare che inventa il proprio modo di fare secondo il filosofo Luigi Pareyson). Una pratica, insomma, che trova la sua ragion d’essere in qualcosa che viene da lontano (Mario Benedetti lo dimostra ad abundantiam soprattutto nella cadenza e nel ritmo quasi rituale delle sue procedure, che l’esposizione in oggetto evidenzia nelle varie angolazioni) e si eccepisce a suo modo dalla diffusa logica destinale che compete oggigiorno alle opere d’arte, qualora queste ultime assecondino non di rado gli escamotages che il sistema vigente escogita per perpetuarsi.
Profilo di Mario Benedetti
è nato a Terni nel 1938. Compie gli studi a Milano. E’ presente con la sua attività espositiva in gallerie e musei, in Italia e all’estero, in particolare in Danimarca, Germania, Spagna, Brasile e Messico. Tra le mostre personali: Galleria Martano, Torino, Galleria Lorenzelli, Bergamo, Galleria Milano, Milano, MARGS, Museu de Arte do Rio Grande do Sul, (Porto Alegre), MASP Museu de Arte Assis Chateaubriand, (São Paulo) e MAM Museu de Arte Moderna, (Rio de Janeiro), GAMEC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Fondazione Mudima, Milano, Museo Nacional de la Estampa a Città del Messico, MART, Museo delle Albere, Trento, Museo Civico Ala Ponzone, Cremona, GLUO, Galerija likovnih umjetnosti Osjek, Croazia….
Nel campo della calcografia Benedetti ha realizzato opere di grande formato nei laboratori di Niels Borgh Jensen a Copenaghen e di Grafica Uno di Giorgio Upiglio a Milano e di Stamperia d’Arte Albicocco, Udine..
Ha inoltre realizzato opere applicate all’architettura, eseguite con vari materiali, come cemento, ceramica, piombo, ferro, terra cotta, bronzo e vetro.
Attualmente vive e lavora a Bergamo e Milano dove è stato titolare della cattedra di Tecniche dell’incisione all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Quarenghicinquanta è uno spazio dedicato alla fotografia che si pone come punto di riferimento per mostre temporanee, eventi ed incontri con autori e operatori del mondo dell’immagine.
Un luogo espositivo per proporre firme autorevoli della fotografia italiana ed internazionale, ma anche un laboratorio dove si incontrano e si confrontano esperienze, si valorizzano autori giovani o inediti, si sviluppano idee e si lanciano progetti individuali e collettivi con l’intento di promuovere una fotografia di ricerca libera e innovativa e non più solo storicizzata. Quarenghicinquanta è anche un incrocio tra fotografia e altri linguaggi come la letteratura, la poesia, l’architettura, la pittura, il design e la musica. Perché la sinergia tra espressioni artistiche differenti è arte all’ennesima potenza.