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    COLLEZIONE E PASSIONE
    COLLEZIONE E PASSIONE
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    Bergamo, Maggio 2014

    Nella scorsa primavera è iniziato un ciclo d’interviste per ascoltare e approfondire, in presa diretta, le passioni, gli interessi e le valutazioni che spingono a collezionare arte a noi contemporanea. Sono stati così coinvolti tutti i collezionisti privati bergamaschi che hanno scelto, con generosità e accoglienza, di aprire le porte delle loro case-collezioni durante le precedenti edizioni di ARTDATE.

    La nuova edizione di ARDATE 2014 segna la volontà di aprire un dialogo nel tempo, tra l’arte del passato e quella del presente, tra passioni e affinità di volta in volta capaci di accendere progetti innovativi e competizioni straordinarie. Perciò abbiamo voluto analizzare la storia e le vicende di due collezioni particolari nel tessuto bergamasco: quella di due istituti di credito e delle loro fondazioni –  il Credito Bergamasco e la Banca Popolare di Bergamo –  che da decenni s’impegnano, in forma diretta e indiretta, per lo sviluppo culturale del territorio. 

    Non solo collezioni, ma anche restauri, recupero di immobili, progetti, mostre, pubblicazioni. Impegni che con continuità hanno favorito la nascita di importanti collezioni, la valorizzazione del nostro patrimonio e il sostegno delle attività di molte associazioni e istituzioni culturali.

    Paola Tognon

    Le interviste sono state realizzate con Elsa Barbieri.

    Grazie a Clara Manella per il sostegno al progetto

     

    Francesco Botticini, Madonna in adorazione del Bambino, tavola. Courtesy collezione Credito Bergamasco

    Francesco Botticini, Madonna in adorazione del Bambino, tavola. Courtesy collezione Credito Bergamasco

    La collezione del CREDITO BERGAMASCO e della sua Fondazione. Qualche domanda – per rintracciarne origini, intenti e vicende – a ANGELO PIAZZOLI, Segretario Generale del Credito Bergamasco e della sua Fondazione..

    Paola Tognon: una banca, una collezione. Dove inizia questa lunga storia che caratterizza e identifica le attività culturali del Credito Bergamasco?

    Angelo Piazzoli:

    La Banca è un soggetto distinto dalla Fondazione Credito Bergamasco, che ne è emanazione, ha un suo patrimonio e rappresenta il braccio sociale e culturale della banca stessa (finora del Creberg, da giugno del Banco Popolare nei territori di pertinenza della Divisione Credito Bergamasco). Entrambe possiedono una collezione. La Fondazione opera su quattro filoni d’impegno: responsabilità sociale, arte, cultura, solidarietà e sussidiarietà, con una particolare attenzione ai settori dell’educazione, della scuola, dell’università e della ricerca medico-scientifica.

    Tornando al tema delle collezioni, seguendo le epoche, si può parlare di tre diverse “forme di collezione”. La prima, della banca, è una collezione “strutturale”, nata negli anni Sessanta con opere site specific realizzate in contemporanea ai lavori dei primi anni Sessanta per il recupero e il restauro, a cura di Enrico Sesti, del Palazzo Storico del Credito Bergamasco. Furono commissionate opere importanti e di grande impegno, pensate anche per valorizzare gli artisti giovani e determinati del tempo, tra cui Trento Longaretti, Erminio Maffioletti ed Elia Ajolfi, divenuti ora veri monumenti della storia dell’arte bergamasca. La seconda è la collezione storica del Credito Bergamasco, di arte antica e moderna, formata grazie a diverse forme di acquisizione, come quella pervenuta dall’antiquario milanese, Algranti, negli anni Settanta. Questa collezione ha opere molto significative, come la Madonna in adorazione del Bambino di Francesco Botticini, Maschere e venditrice di Giacomo Ceruti, e poi opere di Figino, del Ghirlandaio e dell’Albricci. A queste si sono aggiunte nel tempo – in conseguenza di operazioni bancarie o di acquisti – opere di qualità che lasciano intravvedere un percorso stratificato. Risalgono al 2004-2006 le ultime due acquisizioni di arte antica: il Ritratto di gentiluomo con due figli di Giovan Paolo Cavagna e Diana e Callisto di Enea Salmeggia.

    Infine c’è la recente collezione della Fondazione, che nasce da un programma di sostegno e di fiducia verso gli artisti del territorio e più in generale di partecipazione al clima culturale che è parte della nostra stessa identità. In questa direzione organizziamo e promuoviamo numerose esposizioni alle quali, liberamente, fanno seguito delle donazioni. Oggi contiamo quasi centocinquanta opere tra cui lavori molto significativi di artisti come Gianfranco Bonetti, Ugo Riva, Gianriccardo Piccoli, Giovanni Frangi, Mariella Bettineschi, Andrea Mastrovito. Peraltro l’approfondimento sul “Gruppo Bergamo” che abbiamo svolto nel corso degli anni – con ricercate esposizioni – ci consente di avere ora una notevole disponibilità di opere (donate dalla famiglie o direttamente dagli artisti, quando viventi) di un importante periodo dell’arte del Novecento (si pensi a Longaretti, Cornali, Maffioletti, Normanni, Pigola, Raffaello Locatelli…).

    Giovan Paolo Cavagna Ritratto di gentiluomo con due figli, tela. Courtesy collezione Credito Bergamasco
    Giovan Paolo Cavagna Ritratto di gentiluomo con due figli, tela. Courtesy collezione Credito Bergamasco

    Come si caratterizza l’attività di valorizzazione e promozione culturale della Fondazione?

    Angelo Piazzoli:

    La Fondazione non acquisisce direttamente perché preferisce favorire un programma di promozione e sostegno volto alla crescita di opportunità comuni che lasciano spazio alla sperimentazione e all’innovazione, anche rivolte a autori molto giovani. C’è un legame forte, diretto e mutuo con gli artisti coinvolti.

    Mariella Bettineschi, L’era successiva, 2010, stampa diretta su plexiglass.  Courtesy Collezione Fondazione Credito Bergamasco
    Mariella Bettineschi, L’era successiva, 2010, stampa diretta su plexiglass. Courtesy Collezione Fondazione Credito Bergamasco

    Senza distinguo tra i soggetti Banca e Fondazione, come si potrebbe descrivere l’ampia collezione che va dagli antichi mosaici veneziani alle opere di artisti emergenti?

    Angelo Piazzoli

    La collezione si è stratificata nel tempo: potremmo dire che è frutto della storia, del caso e della scienza. Ma vi è sottesa l’intenzione di favorire la storia come la sperimentazione, l’approfondimento e la divulgazione come la passione. Ciò coinvolge e influenza anche le attività, le modalità espositive, le pubblicazioni. Ad esempio lavorare nel palazzo storico della banca significa per noi operare, dall’interno, nella comunità. Ma anche lavorare su artisti del XX secolo che hanno segnato le generazioni seguenti è per noi un fatto significativo, in questa direzione vanno le mostre, di cui si diceva, dedicate a Trento Longaretti, a Mario Cornali, a Erminio Maffioletti, a Domenico Rossi. Questi sforzi e queste sollecitazioni hanno permesso di formare, nel tempo e per donazioni, dei nuclei compatti di opere dentro il percorso di alcuni artisti.

    Domenico Rossi, Figure (Atelier), 1953 ca., olio su faesite. Courtesy Collezione Fondazione Credito Bergamasco

    Domenico Rossi, Figure (Atelier), 1953 ca., olio su faesite. Courtesy Collezione Fondazione Credito Bergamasco

     Accanto alle mostre e alle pubblicazioni, quali sono le altre attività a cui si dedica la Fondazione?

    Angelo Piazzoli:

    Altri progetti di impegno, di restituzione alla comunità, come quelli legati al restauro di opere che fanno parte del patrimonio della Città e della Provincia. Per esempio, abbiamo sempre proceduto a restauri importanti, in favore delle comunità locali. Da qualche anno – fermi restando gli interventi “normali” sul territorio che restano allocati ove il dipinto si trova – abbiamo scelto di insediare l’attività di restauro dei “capolavori”, quando possibile, all’interno della banca, per ragioni di verifica e di sicurezza ma soprattutto per condividere e mostrare in presa diretta gli sforzi, le competenze, le operatività, gli esiti (stiamo raggiungendo il ventesimo grande restauro di capolavori, dopo il primo grande nucleo dedicato a Lorenzo Lotto per consentire alle opere bergamasche di essere esposte alle Scuderie del Quirinale). L’obiettivo è mettere la banca, come una sorta di galleria, al centro di attività culturali dirette, senza frontiere o distanze, dove le persone possono seguire, osservare, partecipare al farsi delle cose e anche confrontarsi con grandi opere e bravissimi restauratori.

    Nella stessa direzione vanno le visite guidate per ogni mostra che sono offerte gratuitamente ai visitatori ma anche a tutto il personale della banca. È un modo per costruire legami con il territorio che prescindono assolutamente da azioni di marketing.Un’altra iniziativa a cui teniamo molto sono le mostre tematiche e itineranti, oggi alla quarta edizione. Investiamo sui giovani artisti a cui affidiamo una tematica di attualità dentro la storia. Si tratta di “committenze” per progetti itineranti sul territorio bergamasco, come al MACS di Romano di Lombardia o all’Accademia Tadini di Lovere (e da novembre, per Giobbe, fuori Bergamo, a Verona e Pitigliano). Uno sviluppo speciale di questo indirizzo è rappresentato dal progetto “Storie di collezione” che prevede lo spostamento di alcune specifiche opere della collezione in luoghi di cura per anziani. Pensiamo che siano luoghi di vita per tantissime persone, fra cui alcune impedite nella mobilità. Crediamo che l’arte possa offrire occasioni di interesse, di vitalità, di scoperta, di incontro.

    Particolare dell’installazione site specific di Giovanni Frangi,  Divina Wallpaper, 2010, olio su tela. Courtesy Collezione Fondazione Credito Bergamasco
    Particolare dell’installazione site specific di Giovanni Frangi, Divina Wallpaper, 2010, olio su tela. Courtesy Collezione Fondazione Credito Bergamasco

    Perché una banca e una fondazione bancaria s’impegnano così fortemente per lo sviluppo culturale del territorio di appartenenza?

    Angelo Piazzoli:Geneticamente nasciamo con la filosofia di Nicolò Rezzara, il fondatore del Credito Bergamasco, istituto immaginato a fine Ottocento a sostegno dei piccoli imprenditori, delle famiglie, delle classi popolari del tempo: la banca riceve dal territorio, ma deve anche restituire al territorio, e non solo a livello di sostegno dell’attività economica. Nel nostro statuto c’è sempre stato l’impegno di restituire alla comunità, attraverso forme di liberalità; è lo è anche nello Statuto del Banco Popolare.

    Liberalità che in passato significava prevalentemente erogare contributi e che oggi ha assunto per noi un valore più ampio, quello di promuovere attività culturali sul territorio. L’attività culturale è importantissima, non è estranea alle attività della banca, ne discende direttamente. In questa dimensione rientra un altro aspetto del nostro impegno: sostenere con collaborazioni e contributi le attività di associazioni sociali e culturali del territorio che si caratterizzano per tradizione o per innovazione su diversi campi disciplinari; in parallelo il sostegno alle istituzioni culturali (in Città, ad esempio siamo soci fondatori della Fondazione Bergamo nella Storia e sostenitori del Museo Bernareggi). Abbiamo anche concesso opere significative in comodato alle istituzioni culturali, come nel caso dell’Erbario di Giacomo Manzù alla GAMeC di Bergamo o di importanti opere religiose al MACS di Romano di Lombardia, in anni recenti.

    Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Maschere e venditrice, tela. Courtesy collezione Credito Bergamasco
    Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Maschere e venditrice, tela. Courtesy collezione Credito Bergamasco

    Vi sono state anche collaborazione per il recupero di antichi edifici quali sedi di istituzioni culturali.

    Angelo Piazzoli:

    L’attività di recupero e di restauro conservativo di luoghi antichi in condizioni precarie è un aspetto al quale teniamo molto e sul quale abbiamo investito fondi e impegno, sempre dentro la relazione di empatia con la vita delle istituzioni culturali. Come è stato per la sede attuale della GAMeC, nel Monastero delle Dimesse e delle Servite, o per il Duomo che ci ha visto impegnati nei recuperi strutturali prima, della cupola poi e infine nella partecipazione al suo nuovo museo (o più recentemente la sistemazione della nostra Piazza con l’allocazione di uno straordinario monumento quale la scultura di Ugo Riva, Anima Mundi, di proprietà della Fondazione).

    Ma soprattutto, ieri come oggi, l’impegno per l’Accademia Carrara che ha significato una serie di importanti progetti volti a trovare soluzioni ostensive e di servizi per il suo grande patrimonio: la sala ipogea prima, il padiglione esterno poi – progetti archiviati non per nostra responsabilità – e oggi il progetto di riallestimento della collezione nella sua sede storica e il significativo contributo per la loro migliore realizzazione. Si tratta di attività che riteniamo importanti ai fini dei legami tra banca e territorio, legami che vanno curati con cura e passione.

    Progetti per il futuro?

    Angelo Piazzoli:

    Prima di ogni cosa la riapertura dell’Accademia Carrara. Da parte nostra, accanto agli aspetti di contribuzione e di progettazione del riallestimento con la chiamata dell’architetto Attilio Gobbi, abbiamo sempre garantito la collaborazione per stringere i tempi di riapertura della Carrara … Ma anche l’impegno durante il periodo dell’EXPO per la grande mostra dedicata a Palma il Vecchio dentro un disegno che vede tutta la città coinvolta. Occasione scientifica e culturale che potrà metterne in luce qualità, energie, attitudini, competenze e invenzioni. E certamente c’è l’intenzione di portare avanti le attività espositive (presso il Palazzo e nei territori) di restauro e di valorizzazione che abbiamo iniziato da qualche anno, così come le mostre di collezioni private: occasioni di confronto, di penetrazione, di emulazione in una città che ha costruito sul collezionismo e sul mecenatismo la base del suo patrimonio.

    Tutto ciò proseguendo, nel contempo, negli importanti interventi in corso nei campi di responsabilità sociale, arte, cultura, sussidiarietà e solidarietà, ambito che abbiamo ulteriormente rafforzato nell’attuale periodo di prolungata crisi economica (oltre cinquecento interventi all’anno rientrano in tale segmento).

    Gianriccardo Piccoli, Grizzana Morandi I, 2011, carbone e pigmenti in polvere su carta intelata e olio di garza. Collezione Fondazione Credito Bergamasco
    Gianriccardo Piccoli, Grizzana Morandi I, 2011, carbone e pigmenti in polvere su carta intelata e olio di garza. Collezione Fondazione Credito Bergamasco

    Quale è il movente di tutto ciò?

    Angelo Piazzoli:

    Rimettere Bergamo e il suo territorio al centro delle grandi iniziative culturali e artistiche di livello internazionale. Restituire a Bergamo la sua bellezza. Essere a fianco della nostra gente.

     

    Anish Kapoor, Untitled, 2003 granito nero. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    Anish Kapoor, Untitled, 2003 granito nero. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    La collezione della BANCA POPOLARE DI BERGAMO: qualche domanda a EMILIO ZANETTI e GIUSEPPE CALVI per rintracciarne origini, intenti, vicende. Per raccontare la storia di una passione e di un impegno ancora una volta Made in Bergamo.

    Paola Tognon: Una banca, una collezione. Dove inizia questa lunga storia che caratterizza e identifica le attività culturali della Banca Popolare di Bergamo?

    Emilio Zanetti:

    Vorrei fare una premessa. Ci siamo occupati di collezionismo d’arte per la banca grazie a una tradizione che proveniva da lontano, per merito del Professor Agliardi, un grande direttore generale ma anche uomo di cultura, appassionato d’arte e amico di molti artisti. Nel suo lungo periodo di attività, circa dal 1916 al 1951, ha iniziato a collezionare opere d’arte, soprattutto di pittura. Su questa tradizione abbiamo colto tutte le occasioni per sviluppare e incrementare la collezione. Il merito va poi all’Avvocato Giuseppe Calvi che ha orientato l’impegno della banca verso una collezione non solo di arte antica ma anche di arte moderna e contemporanea. Come appassionato e intenditore ha avuto l’incarico di occuparsi della collezione della Banca Popolare di Bergamo per proseguire un percorso rivolto al presente e al futuro.

    Giuseppe Calvi:

    L’attuale collezione non esisterebbe senza la convinta volontà del Consiglio della Banca e del Presidente Zanetti che, con molta attenzione e sensibilità, ha colto occasioni e proposte, anche di carattere straordinario. Nel merito va anzitutto detto che una banca non si comporta come un collezionista. La banca, oltre ad essere attiva nella promozione di eventi culturali, svolge nella società un ruolo che determina continui inter-scambi istituzionali. La banca è un soggetto che, sotto forma di servizi, offre e determina una serie di valori tali da contribuire alla sua affermazione come soggetto culturale. Ci siamo proposti, e continuiamo a farlo, come conservatori del patrimonio artistico e promotori culturali.

    Achille Funi, Autoritratto con collaboratori e il Presidente Luigi Agliardi, 1952, affresco (particolare della Sala Funi). Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo
    Achille Funi, Autoritratto con collaboratori e il Presidente Luigi Agliardi, 1952, affresco (particolare della Sala Funi). Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    Quali sono i presupposti e le linee guida sulle quali è cresciuta e si è sviluppata la collezione?

    Giuseppe Calvi:

    C’è sempre stato un istinto collezionistico, ma non nel tradizionale senso che viene attribuito al termine. La collezione assume un significato di valorizzazione, di stima, di cura per le opere d’arte e più in generale per l’arte stessa, anche per le espressioni più popolari o minute. Il sentimento che ci anima non è quello dell’accumulo, anzi suddividiamo i capolavori che acquistiamo in funzione del nostro scopo di promozione. Quello della banca non è mai stato un collezionismo generico, mosso dal desiderio di possesso. Avevamo piuttosto bisogno di un’attività razionale, legata a una progettualità accurata che è l’elemento che trasforma la collezione in un evento culturale.

    La posizione che la banca andava man mano assumendo, in virtù delle proprie dinamiche finanziarie, era quella di un gruppo chiamato a colloquiare con un numero sempre maggiore di ambiti sociali, culturali e geografici. Lo spirito che animava e che anima questo dialogo complesso e ampio doveva allora sottendere e rispondere a un respiro di carattere internazionale.

    Perseguire l’internazionalità nell’arte non ha significato escludere le esperienze locali ma integrarne energia e carattere in un contesto più ampio e dinamico.

    Mario Cresci It really is n-1, 2007, fotografia. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo
    Mario Cresci It really is n-1, 2007, fotografia. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    Potrebbe raccontare, attraverso esempi, alcune fra le strategie e le scelte intraprese?

    Giuseppe Calvi:

    Abbiamo costruito e incrementato il patrimonio su una traccia diversa da quella del collezionista che guarda, sceglie e corrisponde economicamente. In molti casi abbiamo messo a punto delle specifiche operazioni culturali studiate e pianificate per costruire una corrispondenza tra il sito di destinazione dell’opera d’arte e l’opera stessa. Come nella bellissima esperienza con Anish Kapoor, tra i più significativi scultori contemporanei. In quell’occasione volevamo scommettere sull’intensa relazione che poteva nascere tra il trecentesco Chiostro di Santa Marta – che la Banca aveva restaurato – e un’opera contemporanea. Qualcosa che potesse “riflettere” e reinterpretare la storia di Bergamo. Spedimmo così ad Anish Kapoor le fotografie del Chiostro e iniziammo con l’artista una fitta corrispondenza – durata circa tre anni – fatta di schizzi, comunicazioni e aneddoti che ancora oggi conserviamo. Quello che più conta, che sta alla base della nostra attività collezionistica, sono le relazioni. Ne è un esempio Anish Kapoor ma anche Getullio Alviani che, su nostra specifica committenza, ha costruito un lavoro site specific per la sede di Milano della Banca Popolare di Bergamo, prima esaminando gli spazi e poi provando le collocazioni in prima persona. È questo il senso che diamo al termine “operazione culturale”: non ci limitiamo a comprare, ma portiamo le opere in nuovi contesti, facciamo delle richieste specifiche, ci misuriamo con la nostra storia, con gli spazi, con le intenzioni degli artisti per costruire un’interazione culturale che qualifica e caratterizza la collezione e la banca stessa.

    Come descrivere oggi la vostra collezione?

    Giuseppe Calvi:

    La collezione si compone di opere d’arte antica, moderna e contemporanea. Opere di artisti bergamaschi, italiani e internazionali. Cito ad esempio i nomi di quattro artisti che hanno spaziato tra Europa, America e Asia determinando nuove tensioni culturali, e che oggi sono rappresentati nella collezione della banca: Liam Gillick, Rudolf Stingel, Paul Morrison, Yan Pei Ming. Ma posso citare i nomi anche di artisti italiani altrettanto importanti come Giulio Paolini, Getullio Alviani, Dadamaino… Accanto a questi la presenza di artisti residenti o operanti sul territorio bergamasco, verso i quali c’è particolare attenzione e cura. È con orgoglio che sosteniamo il lavoro di artisti come Paolo Ghilardi, Erminio Maffioletti, Rino Carrara, Mario Cornali, Alberto Zilocchi.

    Ci prendiamo cura delle loro opere, in una dimensione di attenzione e di condivisione che permette alla collezione di crescere tra identità e internazionalità.

    Liam Gillick, Reiteration Structure, 2008, alluminio dipinto. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo
    Liam Gillick, Reiteration Structure, 2008, alluminio dipinto. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    La Banca Popolare di Bergamo ha sviluppato iniziative parallele, di supporto e approfondimento scientifico rispetto allo sviluppo e all’incremento della collezione d’arte?

    Emilio Zanetti:

    La Banca Popolare, accanto alla collezione, ha avviato un’importante attività di studi, ricerche e approfondimenti. Negli anni Ottanta ha curato la vasta pubblicazione sulla Storia dei pittori bergamaschi, un’opera unica nel suo genere per profondità di analisi e completezza di documentazione. La collana è il frutto della ricerca di moltissimi storici dell’arte e di quasi trenta anni di studi durante i quali è stato messo a punto un sistema utile all’esame di pittori attivi in epoche diverse. Alcuni fra gli artisti studiati, da Baschenis a Frà Galgario, da Piccio a Manzù sono presenti con grandi capolavori anche nella nostra collezione. Questa grande pubblicazione, così come quelle che l’hanno preceduta e seguita, è per noi un’importante operazione di sostegno, valorizzazione e diffusione culturale.

    Giacomo Manzù, Ritratto di Pio, 1948 ca., scultura in bronzo. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo
    Giacomo Manzù, Ritratto di Pio, 1948 ca., scultura in bronzo. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    Dal territorio al mondo per tornare al territorio attraverso progetti di restituzione alla comunità, impegnativi e complessi. Qualche esempio?

    Emilio Zanetti:

    Il primo impegno davvero importante verso la nostra comunità è stato quello della ristrutturazione di Sant’Agostino. Quel bellissimo complesso, abbandonato e degradato, doveva essere valorizzato. All’epoca feci deliberare dal consiglio di amministrazione della banca un contributo di cinque miliardi, a condizione che venisse ristrutturato ad opera del Comune e che vi fosse insediata una facoltà universitaria. Inizialmente incontrai delle resistenze circa l’indicazione di una destinazione d’uso per una proprietà pubblica, poi le opportunità dell’operazione culturale furono comprese, il restauro iniziò e nel complesso messo a nuovo è entrata una facoltà umanistica dell’Università di Bergamo. In seguito, con la collaborazione fra diversi enti, abbiamo partecipato alla realizzazione di altri interventi di tutela e restauro sul territorio, abbiamo sostenuto la ristrutturazione del Collegio Baroni e abbiamo contribuito alla Fondazione della Pro Universitate Bergomensi, un’associazione che da più di vent’anni è attiva nelle azioni di erogazione a sostegno della comunità. In questi ultimi anni abbiamo infine contribuito alla realizzazione della Chiesa nel nuovo ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Crediamo e vogliamo così corrispondere alle aspettative che la società nutre nei confronti di una Banca Popolare. Tutte le iniziative, dal collezionismo alle mostre, dalla tutela al sostegno del patrimonio artistico e architettonico, vanno in questa direzione. La Banca Popolare di Bergamo ha nel suo statuto la possibilità di disporre di una quota di utile netto per finalità di ordine benefico, sociale e culturale. Grazie a ciò possiamo sviluppare tutte quelle attività che sono tipiche di una banca popolare, tra cui riservare un particolare sostegno alla crescita economica e sociale delle comunità di appartenenza.

    Yan Pei Ming, Papa Giovanni XXIII, 2005, olio su tela. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo
    Yan Pei Ming, Papa Giovanni XXIII, 2005, olio su tela. Courtesy collezione Banca Popolare di Bergamo

    Obiettivi futuri in questa direzione?

    Giuseppe Calvi:

    Sogno di poter dotare la GAMeC di una nuova sede adeguata alla sua funzione. E di poter costruire con l’istituzione un rapporto di collaborazione culturale oltre che di supporto economico. Vorremmo disporre di un luogo ostensivo, messo in comune, per le opere della collezione della Banca Popolare, per immaginarle studiate e gestite da figure competenti e soprattutto visibili a una comunità più ampia. Non un trasferimento definitivo delle opere, ma la loro disponibilità in luoghi e attività dove circolano persone e idee. Intanto però abbiamo scelto di collocare tutte le nostre opere negli uffici, nei corridoi e nelle sale d’attesa della banca affinché tutti coloro che ci lavorano così come i visitatori possano fruirne. Nel tempo si sono sviluppate passioni, preferenze, spostamenti di opere e interessi che, noi crediamo, influiscono nelle nostre attività quotidiane e nella qualità dell’offerta. Pensiamo l’arte e la cultura come un patrimonio comune sul quale è necessario investire.

    Emilio Zanetti:

    E’ nelle funzioni di una Banca Popolare promuovere e sostenere l’economia ma anche la crescita del territorio. Credo che la cultura risponda a una precisa esigenza e che sia una missione da perseguire. La sua mancanza, al pari della mancata condivisione, costituisce una diminutio ai danni della società nell’attività della banca. Chi amministra deve perseguire e promuovere una crescita generale: economica, civile e sociale.

     

    BERGAMO, 2011/12/13

    Quale scelta, desiderio o passione spingono a collezionare arte a noi contemporanea?

    Intorno a questa questione ho posto 10 domande ai collezionisti che hanno scelto di aprire le porte delle loro case e delle loro passioni nelle prime tre edizioni di ARTDATE a Bergamo (2011/12/13). Le risposte lasciano emergere punti di vista distinti, abitudini diverse, racconti lontani nel tempo o veloci nell’accensione di memorie recenti: esperienze autoriali molto caratterizzate accanto a espressioni discrete o approcci intimi e quasi segreti. Racconti tratteggiati che trovano però efficace condivisione nel segnalare specifici strumenti d’informazione accanto a strategie parallele, ma soprattutto nell’individuare nell’arte contemporanea un’esperienza di appartenenza identitaria che presuppone la voglia di vivere il proprio tempo con passione e curiosità. Con la determinazione e l’impegno che l’arte chiede ai suoi attori.

    Il progetto Collezione e Passione inizia qui per proseguire, nel tempo, tra collezioni e passioni diverse dentro le arti e le manifestazioni che caratterizzano epoche e condizioni sempre più veloci e complesse. O magari tra artisti che a loro volta collezionano…

    Bergamo è una straordinaria piattaforma di osservazione: artisti, fotografi, collezionisti, mecenati, operatori; ma anche musei, centri universitari, spazi no profit, co –housing creative, fondazioni, associazioni, gallerie e un’Accademia di Belle Arti fondata tra le prime in Italia. Persone, azioni, riflessioni e attività che si calano nella discrezione del profilo pedemontano della città.

    Quella del collezionismo prima, del mecenatismo poi, è dunque una storia speciale che s’inserisce nella trama della tradizione “civica” più intensa di Bergamo, quella ad esempio dell’Accademia Carrara.

    Quella dei collezionisti di arte contemporanea, presenza numericamente sorprendente e in crescita sul territorio, sembra essere una risposta coraggiosa in tempi di crisi. Efficace nel lasciare intravvedere uno spostamento nella strategia di crescita sociale ed economica di una città che si confronta con l’innovazione e la sperimentazione culturale dentro un processo pro-attivo e contagioso.

    Paola Tognon

     

    GIULIO PANDINI, APRILE 2013 A BERGAMO, NEL SUO STUDIO

    Com’è iniziata la tua avventura di collezionista?
    Giulio Pandini: La mia avventura di collezionista è iniziata attraverso la storia della mia famiglia, in particolare a partire dai nonni materni che vivevano a contatto con gli artisti dell’epoca: conoscevano e avevano relazioni di amicizia con molti artisti italiani, come Giorgio de Chirico, ma anche con artisti bergamaschi,  come Giacomo  Manzù e Achille Funi. I miei genitori hanno egualmente coltivato questo percorso di contiguità con l’arte, sia frequentando gli artisti, sia le istituzioni italiane e straniere, sia collezionando in una forma più simile a quella dei nostri giorni. Così sin da piccolo ho avuto contatti con le arti visive in una dimensione che all’epoca mi sembrava del tutto naturale e spontanea: non mi è mai stato chiesto di fare sforzi o di seguire le passioni della famiglia come un dovere, anzi da ragazzo andavo a vedere le mostre per i fatti miei, spesso da solo.
    In parallelo, dai quattordici anni, si è sviluppata in me una forte passione per la musica. Nel 1972 comprai Made in Japan dei Deep Purple: da allora non ho più abbandonato la musica. Ancora adesso vado ai concerti e compro musica rockehard-rock.Questa è la mia passione personale più forte: vivo la musica come la forma d’arte che mi tocca maggiormente, certe canzoni posso ascoltarle un milione di volte e mi toccano sempre l’anima. Un sentire che vale anche per le opere d’arte, soprattutto nel filone concettuale. Quando in un’opera si manifesta la bellezza ne sono colpito, ma in particolare quando nell’opera si manifesta un pensiero provo un’attrazione molto forte.
    In generale posso forse dire che la grande opportunità avuta, cioè la familiarità con le arti visive, mi ha predisposto verso la scoperta anche di altre discipline artistiche, come la musica.
    Perché collezionare arte contemporanea?
    La naturalezza che mi lega al mondo dell’arte mi configura come un collezionista un poco atipico: non ho quasi mai ossessioni o desideri compulsivi. Sino a oggi la pratica del collezionare è per me qualcosa che si sviluppa in maniera serena e cadenzata, entro certi limiti.
    Godo dell’arte anche solo guardandola, anzi in molti casi preferisco non avere le opere dalle quali sono più attratto, come quelle che hanno segnato, nella loro epoca,  una piccola rivoluzione. Egualmente con i dischi: ne ho tantissimi, ma non sono ossessionato; prendo quelli che mi piacciono, seguendo gruppi anche sconosciuti ai più. Mi interessa la ricerca del nuovo e la sperimentazione delle idee.
    Ciò che ritengo più significativo nell’arte contemporanea è la sua capacità di rinnovare, di manifestare il nuovo e di darne continuità. Tutti quanti dovremmo avere il coraggio di non rifiutare il nuovo e compito dell’arte è anche stimolare, far pensare. La contemporaneità – slittamento continuo nel tempo e nel pensiero – accompagna le mie passioni, come elemento fondamentale e spontaneo. Non sopporto la nostalgia. Quando penso al passato, la dimensione nostalgica che ne ricavo mi mette a disagio, mi rattrista, non mi appartiene. Preferisco guardarmi intorno e cogliere la novità: il nuovo per me è gioia, interesse, utilità. Fama, riconoscimento e valore patrimoniale non sono il mio motore d’interesse: ci sono alcuni artisti che hanno proposto poche cose, ma per questo sono ricordati anche dopo molto tempo;  altri ne propongono molte e molte ne vendono, eppure non lasciano alcun segno. Nel contemporaneo mi appassiona la sperimentazione che è una chiave di lettura specifica e caratterizzata, attraverso la qualepossiamo partecipare all’attualità.
    Ti interessa conoscere gli artisti di cui collezioni le opere?
    La relazione con l’artista per me è importantissima. Quando si guarda un’opera,spesso non si ha un’idea di chi sia l’artista e di cosa faccia, allora per me è fondamentale capire cosa ci sia dietro, confrontarmi con la persona che c’è dietro. Talvolta può essere spiazzante, può essere anche una delusione, ma non importa perché nella mia esperienza è comunque molto bello legare l’artista all’opera. Così è stato per me quando ho conosciuto Alberto Garutti, Jan Fabre, Michelangelo Pistoletto, Enzo Cucchi, Gilberto Zorio, Mario Airò, Gabriele Basilico, Tim Rollins, Sterling  Ruby, Aaron Curry, Marcello Maloberti, Latifa Echakhch, Giuseppe Gabellone, Oscar Giaconia e molti altri. Quando penso all’aspetto concettuale dell’arte, percepisco la semplicità e l’essenzialità che sta prima di un ragionamento che spesso non è immediatamente coglibile. Egualmente quando si entra nel mondo e nella testa dell’artista e se ne intravede la personalità, è un’opportunità straordinaria. Allora l’opera vive di una sua forza che spesso è diversa da quella percepita inizialmente. È un passaggio rischioso ma fondamentale, che mi appassiona. Si può intuire o essere in sintonia con il lavoro, ma nel confrontarsi con l’artista si scoprono modi diversi di guardare la realtà e a volte anche le opere appaiono ricche di nuove complessità. Gli artisti aprono uno spiraglio verso un modo diverso di vedere la vita. Come presidente del GAMeC Club mi trovo spesso a contatto con gli artisti, soprattutto durante i viaggi che organizziamo, e ne esco sempre arricchito.
    Visiti mostre, manifestazioni, fiere, gallerie, musei italiani e internazionali? C’è qualche esperienza per te più significativa?
    Ciò che conta non è quanto e cosa si visita, ma come si vive l’avventura della visita, cioè lo spirito e le modalità con cui si parte. Deve essere qualcosa di naturale e di bello, deve darti piacere. I programmi dei viaggi del GAMeC Club sono sempre elastici, talvolta si cambia il calendario sul posto, anticipando o scegliendo altre mete. Si parte carichi d’interesse e liberi da obblighi. Si visitano collezioni private, gallerie, musei con uno spirito che potrei dire di curiosità e passione. Il viaggio è l’occasione per analizzare il contesto di un’artista e le sue prerogative. Forse il ricordo più bello che ho ancora adesso è il viaggio fatto a Los Angeles. Siamo rimasti una decina di giorni ed è stata una vera avventura perché sembrava di essere tornati ragazzi, pronti a scoprire il mondo: abbiamo visitato case private e gallerie, talvolta aperte appositamente, collezioni davvero speciali e istituzioni molto significative.
    Nella tua esperienza qual è il principale riferimento per conoscere nuovi artisti e magari acquisire nuovi lavori?
    Per quel che mi riguarda, potrei dire che tutto serve.  Nel contemporaneo è necessario essere preparati ma non si tratta di uno studio vero e proprio. Dev’essere qualcosa d’immersivo ed a volte è bene sbagliare per poterne godere. Preferisco non sapere di chi è un’opera, ma osservarla e ricordarla, poi mi torna alla mente e posso confrontarla e contestualizzarla. Anche media differenti dalle più classiche riviste di settore, come la tv,  suscitano il mio interesse. Ad esempio oggi c’è Sky Arte che mi pare offra degli approfondimenti interessanti. L’arte deve essere qualcosa che completa la persona, che ha a che fare con le amicizie, con le relazioni, con la vita.
    Ti piace, nella tua vita quotidiana e in quella della tua famiglia, circondarti delle opere che collezioni? In che dimensione le opere vivono con gli spazi e le attività della vostra quotidianità?
    Ciò che cerco nell’arte è ilpiacere, la gioia e lo stimolo. Ciòche sento più affine è il contemporaneo. Preferisco rischiare una visita a una mostra, magari di poco richiamo, piuttosto che andare a vedere esposizioni di artisti riconosciuti del passato che già conosco. Intorno a me, dentro la mia casa e nella vita quotidiana preferisco avere poche cose, o meglio, tutte quelle di cui mi posso prendere cura personalmente; non amo accumulare.
    Pensi che collezionare arte contemporanea sia un investimento sentimentale, emozionale, economico…?
    Ciò che non ritengo significativo nell’intraprendere una collezione d’arte contemporanea è l’investimento con fini di speculazione economica. Penso però, per esperienza diretta, che sia un investimento fondamentale per la crescita dei propri figli.
    Oggi in Europa, come già negli Stati Uniti, un numero sempre più importante di collezionisti sta acquisendo un ruolo pubblico: aprono le collezioni con continuità, prestano opere alle istituzioni pubbliche, organizzano fondazioni dove si svolgono attività espositive, di propedeutica all’arte, di talent scouting… Ritieni che si tratti di uno spostamento di ruolo che cambia il profilo del collezionista contemporaneo?
    Vedo oggi due aspetti. Uno che caratterizza chi è più narcisista e colleziona arte come forma di protagonismo. L’altro, quello di coloro che cercano di condividere le cose amate.Molti collezionisti sono anche alla ricerca di contatti umani, di relazioni, di gratificazioni che passano attraverso la condivisione di esperienze, di gusti, di conoscenze. Penso anche che certe collezioni, oggi attive come fondazioni, svolgano un ruolo molto importante di appoggio e diffusione all’arte contemporanea attraverso strategie più libere e veloci di quelle dell’ente pubblico. È un modo per dire “io voglio fare qualcosa per l’arte contemporanea, ho un riconoscimento e posso quindi offrire occasioni di condivisione”.
    Collezionare è spesso stato considerato un atto intimo, la rappresentazione di un gusto, di una sensibilità, di una passione che accresce se stessa. Ritieni che questa dimensione sia, ieri come oggi, l’anima più profonda di questa passione?
    Si, per me è così, è qualcosa da vivere in modo differente dal lavoro e dalle attività professionali, non deve essere mai una fatica, bensì un piacere, una gioia. Chi colleziona arte come un lavoro non fa nulla di male, semplicemente esercita la sua passione in un sistema anche economico. Importante è avere consapevolezza dei motivi che ci spingono verso l’arte. Nel mio caso è la ricerca di una sperimentazione vitale.
    Qual è il momento più intenso e vitale nella tua “pratica di collezionista”?
    Il momento più vitale è quando mi accorgo che un’opera mi attrae con grande forza. Poi acquistare e portare a casa l’opera determina una sensazione diversa. Per quanto mi riguarda, meno intensa e non fondamentale. Una delle opere che più amo della nostra collezione familiare è Che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno?, opera del 2008 di Alberto Garutti. Si tratta di una sedia che, in quanto opera, appare e vive solo al buio. In teoria, quindi, un’opera che non si potrebbe mai vedere perché ricoperta da una vernice fluorescente che la fa “vivere” solo nel silenzio e nella solitudine della notte. Tutte le volte che ci passo davanti e la osservo, sia di giorno che di notte, ne ricavo felicità: noi  la guardiamo, non la capiamo e ce ne andiamo, ma lei c’è sempre.
    La sua componente nascosta è straordinaria ma invisibile: vive di luce propria.
     

    Giulio, Claudia, Giampiero, Federico e Riccardo Pandini. Fotografia di Mario Albergati

    Giulio, Claudia, Giampiero, Federico e Riccardo Pandini. Fotografia di Mario Albergati

     

    DIEGO BERGAMASCHI, MARZO 2013, TRA BERGAMO E MILANO

    Come è iniziata la tua avventura di collezionista?
    Diego Bergamaschi: È iniziata in Fiera a Bologna, dieci anni fa. Dopo qualche anno di ricerca la prima opera è arrivata grazie alla conoscenza dell’artista – avvenuta proprio in Fiera – e alla persona che mi accompagnava che già tempo prima aveva acquisito opere di quell’artista.
    Due macro-elementi fondamentali che ritornano spesso: la conoscenza personale dell’artista e il passaparola fra collezionisti.
    Perché collezionare arte contemporanea
    Perché collezioni il tuo tempo, la storia dell’arte in fieri. Perché operi e conosci attori “vivi e vegeti” che stanno facendo la storia dell’arte e vivono un tempo comune.
    Conosci gli artisti di cui collezioni le opere?
    Conosco personalmente la quasi totalità degli artisti italiani e stranieri le cui opere sono nella mia collezione. E mi onoro della loro amicizia.
    Visiti istituzioni, mostre, fiere, manifestazioni e gallerie italiane e straniere?
    Frequento tutte le principali fiere internazionali e nazionali (quelle di Basilea, Parigi, Londra, New York, Bruxelles, Torino, Milano …) e quando sono all’estero cerco di frequentare contestualmente spazi privati (gallerie e kunsthalle) e pubblici (musei e fondazioni).
    In Italia vado“più in profondità” grazie agli spazi no profit, soprattutto a Milano. Spaziche generano una mole enorme – e di qualità elevatissima -di produzione su artisti esordienti spesso ancora privi di gallerie.
    Nella tua esperienza qual è il principale riferimento per conoscere nuovi artisti e magari acquisire nuovi lavori?
    Per conoscere nuovi artisti il mondo dell’arte va frequentato a tutte le latitudini e longitudini senza negarsi nulla ma investendo molto, davvero molto, del proprio tempo libero. Non è detto che un artista, un curatore interessante o un nuovo gallerista si debba conoscere per forza durante un’inaugurazione, può capitare a una cena, durante una lecture, in fiera, in galleria durante la settimana …
    Ti piace avere intorno a te, nella tua quotidianità, le opere che collezioni?
    Mi piace circondarmi delle opere in collezione, ma il piacere del collezionare prescinde dalla loro esposizione effettiva in casa o altrove: se neghiamo che il possesso della cosa “opera” sia un motore fondante raccontiamo la favola dell’orso …
    Pensi che collezionare arte contemporanea sia un investimento sentimentale, emozionale, economico…?
    Serenamente posso scrivere che tutti e tre i fattori contano: cerebrale in primis,così come emozionale, poi economico: l’opera costa dei soldi, prende o perde valore, per chi non lo sapesse… e anche sentimentale: ci si affeziona all’artista, al gallerista, all’opera.

    Oggi un numero sempre più significativo di collezionisti sta acquisendo un ruolo pubblico: aprono le proprie collezioni, prestano opere alle istituzioni, costruiscono fondazioni dove svolgono attività espositive, di propedeutica all’arte, di talent scouting. Ritieni che si tratti di uno spostamento di ruolo che cambia il profilo del collezionista contemporaneo?
    Ritengo che se il collezionista munito d’importanti risorse economiche (beato lui!) vuole esporre in misura permanente la propria collezione in luoghi fissi e se, al contempo, vuole formalizzare tutto ciò con la costituzione di una fondazione,  stressi all’ennesima potenza il concetto di collezione, rendendola sempre più pubblica e accessibile. Se inoltre, con le medesime strutture fisiche e giuridiche, inizia a produrre mostre e a sostituirsi – in parte –  al ruolo di gallerie o musei, credo che esca dal suo ruolo. È un risultato inevitabile: in questo mondo, come in tutti in contesti socio economici, esistono ruoli professionali ben distinti. Ciascuno esercita il proprio bene, ma non deve svolgere tre ruoli insieme, altrimenti snatura la qualità del proprio agire dentro il suo contesto.
    Collezionare è da sempre un atto intimo, la rappresentazione di un gusto, una sensibilità, un’epoca. Ritieni che questa dimensione sia l’anima più profonda del collezionismo?
    Collezionare è un atto intimo nella scelta passionale di acquisto, nel desiderio di avere proprio quell’opera di quell’artista, nel piacere di possederla … ma, passato l’attimo della scelta, il sentimento si tramuta in esibizionismo puro: desiderio di far sapere al mondo che hai quell’opera.
    Qual è il momento più intenso e vitale nella tua “pratica di collezionista”?
    Quando dialoghi con gli artisti, che siano o non siano nella propria collezione, sia che ti piacciano sia che non ti piacciano. Quando ascolti come in loro, grazie alla particolare sensibilità e professionalità, nasce un’opera, cioè quandosi è partecipi alla magia della creazione dell’arte.
    Quel momento ti resta per sempre.

     

    Gintaras Didziapetris, Compass, 2010. Open file. Collezione Diego Bergamaschi

    Gintaras Didziapetris, Compass, 2010. Open file. Collezione Diego Bergamaschi

     

    GIUSEPPE CASAROTTO, BERGAMO, TRA L’APRILE E IL MAGGIO DEL 2013

    Come è iniziata la sua avventura di collezionista?
    Giuseppe Casarotto: probabilmente ho ereditato l’attitudine a collezionare arte da un antenato bergamasco che tra il ‘600 e il ‘700 ha acquisito un gran numero di opere, al tempo contemporanee, di artisti che soggiornavano in Lombardia. Parte della collezione dispersa dagli eredi è giunta a casa dei miei genitori consentendomi di sviluppare la passione per il collezionismo d’arte. Il primo acquisto risale agli anni ‘70, un acrilico gocciolante su carta di Schifano appena realizzato; da quel momento inizia l’interesse e l’approfondimento delle proposte contemporanee.
    Perché collezionare arte contemporanea?
    Disparate sono le motivazioni che conducono alla pratica del collezionismo; nel mio caso escluderei quella compulsiva del possesso  e direi che le ragioni sono cambiate con il passare degli anni. Quella che oggi mi convince maggiormente è rappresentata dalla soddisfazione nel riscontrare la crescita dell’artista scelto.
    Ritiene importante conoscere gli artisti di cui segue il lavoro e colleziona le opere?
    Conoscere personalmente l’artista, autore di un lavoro in collezione o probabile futuro compagno di viaggio, rappresenta una parte importante del vivere l’arte contemporanea. Non è sempre facile partecipare a uno studio-visit in particolare per gli artisti internazionali, ma cogliere ogni opportunità di incontro durante le preview, le mostre e in momenti conviviali, anche a casa, sono sempre occasione di crescita intellettuale.
    Visita istituzioni, mostre, fiere, manifestazioni e gallerie italiane e straniere?
    Compatibilmente con la disponibilità di tempo, cerco sempre di non mancare alle inaugurazioni di mostre presso gallerie private che frequento più da vicino – una dozzina – o presso musei per le solo-exibition. Appuntamenti fissi sono invece le fiere internazionali: ArtBasel sin dal 1991 tutte le edizioni, Frieze-London e Fiac-Paris qualche volta, Artefiera-Bologna meno negli ultimi tempi, mentre sempre più Artissima-Torino. Da sempre La Biennale di Venezia ed i molti eventi collaterali dei giorni di inizio.
    Nella sua esperienza qual è il principale riferimento o il miglior strumento per conoscere nuovi artisti e magari acquisire nuovi lavori?
    Anche in questo caso l’esperienza evolve e oggi le conoscenze si allargano grazie alla rete. Se da  una  parte la visita di una mostra reale ti fa vivere un’esperienza completa, ma per una sola occasione alla volta, le mostre virtuali sul web di alcuni importanti portali ti consentono di avere una visione molto ampia della scena internazionale.
    È importante avere nella sua quotidianità, dentro la vita della sua famiglia, le opere che colleziona?
    Per me non è importante disporre la mia collezione negli ambienti dove vivo e lavoro quotidianamente; trovo più interessante, anche se dispendioso, movimentare e distribuire in più spazi i lavori. Meglio trattenere temporaneamente qualche lavoro nelle casse che accatastare in poco spazio visibile tutta una collezione, c’è sempre un periodo di “gloria” per ogni lavoro della collezione, in casa o meglio in un luogo pubblico. Quasi sempre,  in occasione dell’acquisizione di un’opera, non conosco l’ubicazione finale; poi, anche a distanza di tempo, per incanto arriva la  sistemazione di maggior soddisfazione.
    Pensa che collezionare arte contemporanea sia un investimento sentimentale, emozionale, economico…?
    Collezionare arte contemporanea, in prima battuta rappresenta sempre un investimento di natura emozionale il cui dividendo non è economico, ma estetico. Tuttavia non trascuro il beneficio di un ritorno economico a medio-lungo termine. Un occhio all’andamento delle quotazioni e alla progressione del ranking internazionale dell’artista in questione è comunque sempre motivante ed istruttivo.
    Oggi un numero sempre più significativo di collezionisti sta acquisendo un ruolo pubblico: aprono le proprie collezioni, prestano opere alle istituzioni, costruiscono fondazioni dove svolgono attività espositive, di propedeutica all’arte, di talent scouting. Ritieni che si tratti di uno spostamento di ruolo che cambia il profilo del collezionista contemporaneo?
    Tutte le volte che mi è stato chiesto di mostrare e prestare un lavoro o parte della collezione ho sempre aderito all’iniziativa con entusiasmo sia per valorizzare le opere attraverso la pubblicazione sia per raccontare in modo discreto, senza parole, parte della  passione del piccolo collezionista.
    Collezionare è da sempre un atto intimo, la rappresentazione di un gusto, una sensibilità, un’epoca. Ritiene che questa dimensione sia l’anima più profonda del collezionismo?
    Difficile rispondere a questa domanda, ma penso che prima della passione per il collezionismo, spesso condizionata dalla disponibilità di risorse, venga la passione per la frequentazione dell’arte contemporanea: la partecipazione coinvolgente offre stimoli per un arricchimento intellettuale senza preclusione di genere o stile. Anche in questo campo l’emozione della scoperta di fronte a ciò che si vede per la prima volta risulta impagabile, qualche volta è sufficiente un semplice gesto dell’artista per individuarne la genialità e godere del risultato.
    Qual è il momento più intenso e vitale nella sua “pratica di collezionista”?
    In questo momento  la crescente aspettativa  per la full-immersion a La Biennale di Venezia il prossimo 29 maggio …

     

    Michael Sailstolfer, No light; Shannon Ebner, Comma. Collezione Giuseppe Casarotto, Bergamo

    Michael Sailstolfer, No light; Shannon Ebner, Comma. Collezione Giuseppe Casarotto, Bergamo

     

    TIZIANA FAUSTI, APPENA RIENTRATA A BERGAMO, NEL MESE DI MAGGIO 2013

    Come è iniziata la tua avventura di collezionista?
    Tiziana Fausti: circa quindici anni fa, frequentando amici molto coinvolti nel mondo dell’arte contemporanea e moderna che mi hanno piacevolmente iniziato.
    Perché collezionare arte contemporanea?
    Perché l’arte aiuta a definire e rappresentare l’identità sociale e culturale del nostro tempo. Ciò significa vivere in modo contemporaneo.
    Conosci personalmente gli artisti di cui collezioni le opere?
    Mi è capitato spesso di conoscere gli artisti ed è un’esperienza importante che rafforza il dialogo con il collezionismo.
    Visiti istituzioni, mostre, fiere, manifestazioni e gallerie italiane e straniere?
    Iniziare il percorso nell’arte contemporanea significa non avere più limiti. È la scusa e l’occasione per spaziare nel mondo dell’arte viaggiando e alimentando lo sguardo, il pensare e il sentire più emozionante. Da Torino a Milano, da Basilea a Miami, da Londra a New York: fiere e galleristi, percorsi obbligati che stimolano e aiutano a definire un quadro  di riferimento importante.
    Nella tua esperienza qual è il principale riferimento per conoscere nuovi artisti e magari acquisire nuovi lavori?
    Indubbiamente il gallerista è il riferimento più immediato, una guida sicura che si mette a disposizione con competenza e professionalità. Ma è indispensabile informarsi, confrontarsi, seguire le mostre e le persone di riferimento.
    Ti piace avere intorno a te, nella tua quotidianità, le opere che collezioni?
    È indispensabile godere le opere che si acquistano. Non amo racchiudere e nascondere, anche se a volte è necessario.
    Pensi che collezionare arte contemporanea sia un investimento sentimentale, emozionale, economico?
    Direi tutti e tre le cose: più emozionale e sentimentale, economicamente… forse un giorno si vedrà!
    Oggi un numero sempre più significativo di collezionisti sta acquisendo un ruolo pubblico. Ritieni che si tratti di uno spostamento di ruolo che cambia il profilo del collezionista contemporaneo?
    Io amo condividere, mettere a disposizione, è indispensabile per dare origine a dei bagliori.
    Collezionare è da sempre un atto intimo, la rappresentazione di un gusto, una sensibilità, un’epoca. Ritieni che questa dimensione sia l’anima più profonda del collezionismo?
    Sì. Assolutamente
    Qual è il momento più intenso e vitale nella tua “pratica di collezionista”?
    Quando individuo e scelgo un’opera. Quel magico momento dove qualcosa mi fa sentire di poterla possedere. Un delicato equilibrio tra percezione ed emozione che difficilmente provo in altre occasioni.

     

    Tiziana Fausti nella sua casa

    Tiziana Fausti nella sua casa

     

    PIPPO E CARLA TRAVERSI, A BERGAMO NELL’APRILE 2013. Alle spalle una grande fotografia dell’artista albanese Anri Sala…

    Paola Tognon: Come è iniziata la vostra avventura di collezionisti?
    Pippo Traversi: La nostra è assolutamente un’avventura di coppia. La collezione è nata da me e da mia moglie Carla, instaurandosi fin da subito come una presenza importante e caratterizzando anche il nostro modo di stare insieme. Entrambi abbiamo una sorta di tradizione familiare legata al collezionismo. Mio padre ha cominciato a frequentare artisti bergamaschi, le famiglie dei Marchetti, dei Nani, dei Manzù, ossia coloro che orbitavano intorno alla rivista Emporium, finanziandone l’attività e in particolare appoggiando il lavoro di Pino Pizzigoni. Il padre di Carla invece era più giovane e ha cominciato con opere d’arte antica, solo in un secondo momento si è avvicinato all’arte moderna.
    Mio padre aveva una collezione curiosa, soprattutto tanti autoritratti di pittori bergamaschi che ho poi disperso, un po’ superficialmente, per collezionare il contemporaneo. Mio suocero si è sempre occupato direttamente della sua collezione mentre noi osservavamo e ascoltavamo i suoi racconti. Quando è mancato, abbiamo iniziato a occuparcene noi come fosse una sorta di proseguo. Per essere sinceri, inizialmente non avevamo un grande interesse per il contemporaneo. Il primo lavoro che ho comprato è stato un potente autoritratto di Funi, che possiedo tuttora, acquistato un’estate a Forte dei Marmi. Poi, verso la fine degli anni Ottanta, ho scoperto Art Show, la prima guida delle gallerie italiane che mi ha aiutato ad orientarmi quando, nei pochi momenti liberi dal lavoro, mi spostavo per comprendere quello che avveniva nel mondo dell’arte. Non è stato forse il metodo migliore per iniziare, ma non ne conoscevo altri e, non frequentando l’ambiente artistico bergamasco, non avevo alcuna informazione proveniente dall’esterno.
    Un giorno, Carla ed io siamo capitati nella galleria milanese di Massimo De Carlo, allora in Via Panfilo Castaldi. Ricordo di avere sbirciato dalla finestra la galleria chiusa, mentre l’orsetto ciclista di Maurizio Cattelan andava avanti e indietro in mezzo allo spazio espositivo… Ero consapevole di comprendere molto poco di ciò che stavo osservando, ma ricordo i giovani artisti di quell’epoca, come Mario Airò, Stefano Arienti, Eva Marisaldi, Dimitris Kozaris. Con Massimo De Carlo è poi iniziato un rapporto di confronto e di scambio. Massimo è una persona che suscita grande interesse intellettuale, personale e anche … caratteriale. Mi aveva colpito da subito il suo lucido umorismo e la capacità di mettere in evidenza i lati meno appariscenti della realtà, ad esempio di una persona, di un rapporto umano o di un’opera. In quella stagione Carla ed io ci siamo appassionati a ciò che allora era contemporaneo, ossia la prima generazione post-concettuale. De Carlo già proponeva lavori molto interessanti ed è grazie a lui che abbiamo cominciato. Da allora abbiamo frequentato mostre e fiere e siamo entrati in contatto anche con un altro gallerista per noi di riferimento, Massimo Minini.
    Perché collezionare arte contemporanea?
    La nostra collezione nasce con l’acquisto di opere concettuali, anche se l’attività del collezionare è stata concepita da noi due in maniera differente. Mia moglie, che ha una grande sensibilità e un’estetica istintiva, inizialmente era colpita dalla novità degli accostamenti di colore, dai materiali e dalle forme. Ma è sempre stata un po’ diffidente verso il concettuale puro, ossia il gioco di parole, la proposizione d’idee, aspetto che a me intrigava particolarmente. M’incuriosiva lo spiazzamento mentale e semantico e lo spostamento del punto di vista. Avendo una formazione da architetto, inizialmente davo per scontato un certo modo di guardare le forme, i colori e la composizione, riferimento quasi naturale alla tradizione del moderno, del Bauhaus e dell’avanguardia classica. Quel nuovo aspetto dell’arte ha significato per me l’elaborazione di una nuova modalità di osservazione a partire da un ribaltamento del punto di vista. Rintracciavo esiti, anche formali, da presupposti completamente diversi rispetto a quelli della tradizione delle avanguardie storiche. Possiamo dire che Carla ed io abbiamo iniziato e proseguito sommando, dentro la stessa passione, due interessi e approcci diversi: ci siamo scontrati per diverso tempo su questi temi, abbiamo anche litigato furiosamente, ma oggi posso dichiarare che abbiamo saputo amalgamarci.
    Nella mia pratica di collezionista ha giocato molto la freschezza, il sentimento di vitalità che offre l’arte contemporanea rispetto a quella moderna o a quella già consolidata. È un fatto che tocca la psicologia, un personale modo di sentire. È qualcosa che si compone di tanti elementi, dall’opera all’ambiente, dagli artisti agli interlocutori, dalle esperienze ai discorsi.
    Conoscete personalmente gli artisti di cui collezionate le opere?
    Incontriamo molto volentieri gli artisti quando è possibile. Ad esempio ci sarebbe piaciuto conoscere Paul McCarthy o Cindy Sherman, di cui abbiamo acquisito una fotografia, ma se avessimo aspettato di incontrarli non avremmo più comprato le opere. A volte ci sono sorprese nell’incontrare gli artisti, magari la persona che si conosce non corrisponde all’opera o dell’idea che ci si è fatti del suo autore.
    Visitate mostre, manifestazioni, istituzioni e gallerie italiane e straniere?
    Accanto al rapporto con Massimo De Carlo, è stato fondamentale anche quello instaurato con Massimo Minini, gallerista a Brescia. De Carlo e Minini sono persone molto diverse, ma entrambi hanno contribuito alla nostra esperienza di collezionisti e prima ancora di appassionati.
    Più in generale Carla ed io, appena è possibile, andiamo ovunque, soprattutto alle fiere, sia italiane che europee, quali Art Basel, Frieze, Fiac, Miart, Artissima, meno ad Arte Fiera di Bologna … Visitiamo anche molte mostre,  istituzionali e non. Ma non si tratta di un’attività sistematica perché diventerebbe una sorta di lavoro.
    Nella vostra esperienza qual è il principale riferimento o i migliori strumenti per conoscere nuovi artisti e magari acquisire nuovi lavori?
    Nel tempo le cose sono cambiate. Oggi le recensioni m’interessano meno perché sono ripetitive, circospette e hanno il difetto di nascondere dietro circonvoluzioni verbali il reale giudizio del critico. Oggi seguo anche il web, ma la cosa che a noi piace di più restano le fiere: eventi complessi ma molto vitali in cui il collezionismo si mostra per quelle che è veramente e il collezionista “può avere il suo brivido”.
    Vi piace, nella vostra vita quotidiana, nello spazio della vostra famiglia e della vostra casa, circondarvi delle opere che collezionate?
    Per Carla questo aspetto è fondamentale. Lei ha sempre costruito la collezione in funzione anche del rapporto quotidiano con lo spazio, ossia come le opere sono disposte, come vengono percepite e come si vivono. Aspetti per lei essenziali. Perciò sino a oggi la nostra è stata una collezione “domestica”, anche se per me forse lo è un po’ meno. Quando compro un’opera, anche se rimane imballata, ne sono comunque soddisfatto. Riconosco però che quando hai disposto le opere dentro uno spazio che senti tuo, in modo che dialoghino fra loro e con te, … come tu le senti, aumenta il piacere della scelta e si determina una nuova sensibilità dell’intero ambiente.
    Credo che la nostra passione abbia lasciato un segno anche nei nostri figli, nelle loro abitudini, nelle loro amicizie, nel loro modo di vedere le cose…
    Pensate che collezionare arte contemporanea sia un investimento sentimentale, emozionale, economico…?
    Per noi è un investimento intellettuale e sentimentale, perché riguarda il nostro rapporto personale con la vita. È implicito invece l’impegno economico poiché, se non si hanno risorse molto ampie, collezionare significa rinunciare a molte altre cose. In questo senso è una scelta anche economica. Non perché si tesaurizza, ma perché si assegnano delle priorità. L’investimento è quindi un aspetto derivato. La sconfitta del collezionista è scoprire che un’opera, che era sembrata bellissima, poi non regga al giudizio del tempo e della critica e che ciò, per di più, comporti una perdita economica. Non faccio mai un’equazione troppo facile tra la quotazione di mercato e il valore artistico ma, in media, un rapporto abbastanza diretto fra i due termini esiste, con tutte le dovute eccezioni. Se si compra un’opera e dieci anni dopo questa scompare dal mercato, è probabile che ci si sia sbagliati nel valutarne il valore, sia in termini artistici che in termini economici.
    Non abbiamo quasi mai venduto nulla né fatto realizzi per monetizzare, anche se dopo anni può venire voglia di cambiare. È capitato un solo caso significativo, con un lavoro composito di Maurizio Cattelan: eravamo tre collezionisti, ma possedevamo un’unica autentica e così abbiamo venduto l’opera ottenendo un discreto guadagno, che abbiamo  reinvestito in arte.
    Penso comunque che se domani dovessi avere una difficoltà, conterò anche sulla mia collezione.
    Oggi anche in Europa un numero sempre più ampio di collezionisti sta acquisendo un ruolo pubblico: aprono con continuità le collezioni, prestano opere alle istituzioni pubbliche, costruiscono fondazioni dove svolgono attività espositive, di propedeutica all’arte, di talent scouting… Ciò determina uno spostamento di ruolo che cambia il profilo del collezionista contemporaneo?
    Si tratta, in questo caso, di un collezionismo di dimensioni e possibilità davvero consistenti. Con queste grandi figure è certamente cambiata la natura della collezione e anche la pratica stessa del collezionare. In alcuni casi però non è chiaro fino a che punto si tratti ancora di una passione spontanea oppure di una delle tante forme della comunicazione, o ancora di una manifestazione di protagonismo o di potere. Anche nel passato il grande collezionismo ha avuto aspetti simili, ma con un legame al mecenatismo come valore comunitario, oppure alle passioni e alle idiosincrasie che sono connaturate alla pratica stessa del collezionare.
    Tuttavia può essere anche molto positivo che le collezioni private diventino “istituzionali”, si propongano obiettivi più specificatamente culturali e di promozione e in questo modo arricchiscano il panorama dell’arte contemporanea.
    Qual è il momento più intenso e vitale nella vostra “pratica di collezionisti”?
    Il momento più intenso è quello in cui si decide di comprare.
    Mia moglie ed io abbiamo sempre collezionato compiendo uno sforzo oltre le nostre possibilità, perché collezionare arte contemporanea è davvero impegnativo. Nel momento della decisione siamo sempre presenti entrambi e, anche se la scelta non è parimenti condivisa, la decisione viene presa insieme.
    Il momento di massima di concentrazione mentale ed emotiva è proprio quando si decide che quell’opera deve essere nostra: è un momento di particolare intensità emotiva, passionale e personale.
    Poi, quando si sta portando a casa l’opera, ormai la si possiede e la decisione è già stata presa…

     

    Simone Berti, Ritratto di Carla e Pippo, 2002-03 circa, Bergamo Collezione Traversi

    Simone Berti, Ritratto di Carla e Pippo, 2002-03 circa, Bergamo Collezione Traversi

     

    ANGIOLA E CARLO DEL MONTE, DALLA LORO CASA, A BERGAMO, NELL’APRILE 2013

    Paola Tognon: Come è iniziata la vostra avventura di collezionisti d’arte?
    Angiola e Carlo Del Monte: L’acquisto dei primi quadri, con lo scopo di ornare le pareti di casa, risale al 1964. Erano opere di artisti per lo più figurativi, tra i quali Attilio Alfieri, Gino Meloni, Virgilio Guidi, Remo Brindisi, Ernesto Treccani e altri ancora. Dobbiamo all’incontro e all’amicizia con l’artista Lorenzo Piemonti, che lavorerà per alcuni anni in Svizzera a fianco di Max Bill, Camille Graeser e Richard Paul Lohse, l’approccio e il successivo entusiasmo per l’Arte Concreta, per le sue forme e colori.L’Arte Concreta, insieme all’Arte Programmata e a quella Informale, diventano le forme artistiche che negli anni ’70 e ’80 prediligiamo. Oggetto della nostra ricerca sono le opere che rappresentano un determinato movimento e che meglio rispondono al nostro gusto estetico. È così che anno dopo anno conosciamo diversi artisti, ci appassioniamo al loro lavoro e li vogliamo rappresentati in casa nostra…

    Perché collezionare arte contemporanea?
    Negli anni ’90 si esaurisce il nostro interesse per l’Arte Programmata; visitiamo gallerie nuove, fiere d’arte, conosciamo galleristi che lavorano con artisti giovanissimi che sanno cogliere e sottolineare i fermenti della società contemporanea, li traducono in immagini significative anche se non sempre di facile lettura. Dagli anni ’90 entrano così nella nostra casa opere di arte contemporanea.

    Vi piace circondarvi, nella vostra quotidianità, delle opere che collezionate?
    Esse vivono con noi, perciò non devono incutere ansia o timore, ma comunicarci serenità.

    Pensate che collezionare arte contemporanea sia un investimento sentimentale, emozionale, economico…?
    Il presupposto concreto di ogni nostro acquisto è che l’opera piaccia e sia in buone condizioni.

    Qual è il motore di questa vostra passione?
    Andar per gallerie e musei, leggere riviste d’arte, conoscere artisti e… poi acquistare un’opera è stato ed è tuttora per noi un divertimento e un piacevole – anche se “costoso” – passatempo.

    Che immagine vi piacerebbe scegliere per questa intervista?
    Avremmo pensato di proporre l’immagine di un disegno di Miroslaw Balka che rappresenta Anna Frank mentre guarda attraverso la persiana. Il lavoro può essere apprezzato al meglio se viene staccato dalla parete perché il retro del foglio lascia intravedere un mondo colorato di petali gialli che rappresenta il sogno di Anna Frank: uscire dalla stanza nella quale si deve nascondere e percorrere un giardino fiorito… Sentiamo che questo lavoro è portatore di una grande sensibilità. 

     

    Miroslaw Balka, Anna F., 2000, acquarello su carta. Collezione Del Monte

    Miroslaw Balka, Anna F., 2000, acquarello su carta. Collezione Del Monte

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